Carne e insalata

Pubblicato il 31-03-2023

di Carlo Degiacomi

Temo che per parecchio tempo dovremo occuparci di temi che non sono temi, di emergenze che non sono emergenze, di questioni che non sono problemi. Ad esempio, il ministro dell’agricoltura ha spiegato che il governo è contrario alla produzione di alimenti sintetici e che contrasterà in ogni sede questo tipo di produzione perché è un mezzo per distruggere il legame tra il cibo e la produzione agricola. Caspita abbiamo una nuova emergenza! La carne sintetica o coltivata è un alimento proteico ricavato da coltivazioni in vitro di cellule e tessuti animali, a partire da cellule staminali e utilizzando dei bioreattori.

Il tutto è ancora oggetto di ricerca, la commercializzazione e l’uso sono limitatissimi: la prima carne è comparsa sperimentalmente in laboratorio nel 2013, il primo uso in ristorante a Singapore nel 2020. Attualmente in Italia ci sono pochissimi locali o market in ogni regione.
Per ora la carne sintetica è costosissima; alcuni scommettono che tra 10 anni potrebbe diventare competitiva rispetto a quella bovina, ma vi sono molti interrogativi. Sono tanti i punti da chiarire in termini di vantaggi e svantaggi. È probabile che la carne sintetica, che è vera carne, composta da cellule muscolari, grasso e cellule di supporto e vasi sanguigni, sia vista dai consumatori come ripugnante e non approvino il processo di produzione ad alta tecnologia. Sono tutti elementi da considerare il gusto, l’odore, la consistenza della sintetica rispetto alla carne tradizionale.

Per ora la ricerca dettagliata suggerisce che l’impatto ambientale della carne coltivata sia molto inferiore a quello della carne bovina degli allevamenti.
Chi la promuove afferma che evita la crudeltà verso gli animali, è migliore in termini di CO2 e di consumi di suolo, potrebbe essere più sicura e sana. Rimangono però molti i temi da affrontare: quello che è certo e che non è l’emergenza né di oggi né di domani. Piuttosto vale la pena discutere di uno dei tanti piccoli e grandi temi che riguardano il consumo quotidiano di cibo, adesso e vicino a noi. Proviamo ad analizzare un’abitudine che sta prendendo piede senza che vi sia un’informazione sufficiente dei consumatori.

Se entriamo in un supermercato troviamo un’enorme spazio occupato da frigoriferi aperti che propongono buste di insalata. Sulla busta di plastica c’è scritto Prodotto lavato e pronto per il consumo. Questa verdura non è soggetta alla stagionalità: c’è sempre. Lo sviluppo delle vendite è stato enorme. Ne hanno parlato in modo critico Fabio Ciconte e di Stefano Liberti nel libro Il grande carrello, editori Laterza. Chi decide che cosa mangiamo? Che cosa si può dire su queste foglie di insalata da mettere nel piatto senza neanche lavarle? Soluzione pratica e a buon mercato? Il prezzo medio per 100 gr è 0,99 euro: in realtà si paga l’insalata a 10 euro al chilo – fino a 15 euro – con un rincaro medio del 700/800%. In realtà comperiamo anche il risparmio di tempo? Siccome l’insalata va solo condita, lo slogan di molte aziende di fornitura è si vende tempo libero. Per questo incontra l’esigenza dei consumatori.

Dove si produce questa insalata? Al Sud nella Piana del Sele, in provincia di Salerno (comuni di Eboli, Battipaglia, Bellizzi, Pontecagnano), zona tra mare e Appennino con microclima particolare e ottime rese, una media di sette raccolte l’anno in coltura in serre. Il polo al nord è nel Bergamasco. Come per ogni prodotto, se si analizza il ciclo di vita e di produzione, i problemi ambientali sono molto pesanti. Grande utilizzo di acqua; grande uso di energia per i macchinari per lavaggio, gli impianti di asciugatura, le camere refrigeranti per la conservazione, l’imbustazione. Anche per i luoghi di produzione i costi sono elevati: la compattazione del suolo, la plastica delle serre, la sanificazione degli impianti, la conservazione al freddo. E poi il trasporto in camion con freddo, il freddo nel supermercato con frigo aperti per favorire l’acquisto. Infine, le buste di plastica come rifiuto: per ora non vi sono possibilità di usare materiali biodegradabili alternativi. La vendita di questo prodotto sicuramente sottrae vendita alle insalate tradizionali provenienti dai campi, orti e mercati. Un consumatore consapevole deve essere libero di comperare, ma deve porsi delle domande che riguardano gli aspetti ambientali, di costo, di spreco, di imballaggio.

Forse varrebbe la pena ricorrere a questo tipo di proposta solo in caso di fretta. Meglio preferire l’acquisto di insalata che dura di più e che non richiedere troppo tempo per il lavaggio. Questo non vuol dire essere contro il lavoro e la produzione standardizzata: semplicemente si vuole porre sul piatto della bilancia tutti gli aspetti, vedere il loro peso specifico, soprattutto in relazione agli aspetti ambientali sempre più urgenti – che sono anche quelli che vengono troppo spesso ignorati.
 

Carlo Degiacomi
NP gennaio 2023

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