BRASILE: la guerra di San Paolo

Pubblicato il 31-08-2009

di Lorenzo Nacheli


Lo scorso 15 maggio, a San Paolo del Brasile, si scatenò una terribile ondata di violenza ad opera dell’organizzazione criminale “Primo Comando della Capitale”. Un incendio che è difficile da spegnere...

di Lorenzo Nacheli

 SAN PAOLO DEL BRASILE. Il 15 maggio 2006 si può forse considerare come l’“11 settembre” del Brasile. Il PCC, Primeiro Comando da Capital, ormai la più grande organizzazione criminale dello Stato di San Paolo, ha dato un’ampia dimostrazione della sua reale forza.
Nella notte tra il 14 e il 15 maggio l’organizzazione è riuscita a commettere più di cento attentati contro le forze dello Stato, ammazzando poliziotti, attaccando con bombe molotov numerose basi della polizia, sparando contro ogni divisa in servizio, colpendo simboli dello Stato, incendiando decine di autobus di linea. Il tutto come ritorsione contro il trasferimento in blocco dei boss del PCC in altri carceri lontano dalla capitale paulista.

La megalopoli con più di venti milioni d’abitanti, presa dal panico, si è barricata in un coprifuoco generale. La città è diventata uno spettro. Gli unici a vivere quelle notti sono stati i legionari del PCC in assetto di guerra. La Polizia Militare a tentare di difendersi, per poi contrattaccare nei giorni successivi, e i giornalisti delle televisioni più importanti cercando di registrare tutto nei minimi particolari. Bilancio, più di centosettanta morti in poche ore.

Ma cos’è il PCC? Negli anni 90, in una prigione dell’entroterra Paulista - allora considerato il carcere di massima sicurezza dello Stato - venivano inviati i carcerati colpevoli di aver assassinato altri prigionieri o di capitanare ribellioni. In questa prigione si sono così incontrati e conosciuti il fior fiore dei delinquenti, che unendosi in nome di “ideali” di pace, giustizia e libertà, hanno dato inizio ad una vera e propria nuova mafia. Gruppi simili sono poi nati in altri Stati del Paese, come il Comando Rosso, ormai padrone delle carceri dello Stato di Rio de Janeiro, o il Comando Rivoluzionario Brasiliano della Criminalità, da anni in lotta per il controllo delle carceri pauliste.

Il carcere dovrebbe essere, in teoria, una casa di recupero e riabilitazione. In realtà è divenuto la gabbia ove rinchiudere tutte quelle fasce di popolazione più pericolose che la società non riesce più a controllare. Dei 40 milioni d’abitanti dello Stato di San Paulo, l’1% è in carcere, in pratica, più di 400.000 persone tra uomini donne e adolescenti, ma già si prevede una crescita esponenziale che potrebbe raggiungere il mezzo milione.

Il carcere diventa per molti una scuola di criminalità accelerata, come in una giungla ci si adatta per sopravvivere e si è pronti ad uccidere, a distruggere il poco che si ha per ribellarsi al sistema, obbedendo ai comandi delle varie fazioni che detengono il potere. Un potere incontrastato, alimentato dalla mancanza di una vera giustizia e dignità nonché dall’abbandono del sistema carcerario da parte delle istituzioni, specialmente quelle giudiziarie. Da dentro le carceri i boss mafiosi organizzano i traffici e i giochi di potere, fanno patti con il narco-traffico, vendono armi e gestiscono il riciclaggio del denaro sporco. Chi non ubbidisce è eliminato.

É chiaro che il tutto ha radici e, al tempo stesso, trova terreno fertile nella miseria sociale in cui si trova un’enorme fetta della popolazione brasiliana. Il PCC nasce non soltanto dall’inclinazione al crimine delle menti del narco-traffico o del contrabbando d’armi, ma soprattutto da una grande necessità di giustizia e di dignità dei cittadini.

Oggi in Brasile la popolazione carceraria è formata principalmente da giovani tra i 19 e i 25 anni, di questi il 40% è analfabeta. La maggior parte non ha mai avuto una professione, una possibilità per studiare, un lavoro regolare. Arrivano principalmente dalle favelas o dalla campagna. Il carcere in Brasile è diventato lo specchio di ciò che la società brasiliana tenta di nascondere sotto il tappeto.


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Dopo più di un mese di scaramucce, in questi giorni gli assalti sono ricominciati. Se in maggio la causa era stata il trasferimento dei boss ad un carcere fuori San Paolo - perchè vengano tenuti più sotto controllo - questa volta - secondo quanto affermato dal principale leader del PCC, Marcos Herbas Camacho detto “Marcola” - il timore per i boss è di finire nel nuovissimo penitenziario di massima sicurezza di Catanduvas. Il nuovo carcere dispone di telecamere attive 24 ore su 24 e isolamento totale dei detenuti sotto controllo. “Mi volete far diventare un morto vivente”, avrebbe detto Marcola. La nuova ondata di attentati commissionata dal PCC sarebbe ancora un modo per negoziare con le autorità carcerarie condizioni meno dure. Questa volta l’intenzione pare sia mettere paura alla popolazione. Varie guardie carcerarie sono state assassinate sotto casa, bombe casalinghe sono state messe in luoghi d’alto transito, ancora molti autobus sono incendiati.

Ad aggravare la sensazione di assenza dello Stato incide soprattutto la disputa elettorale per le prossime presidenziali. Il Governo Federale centrale, diretto dal Partito dei Lavoratori (PT) ha offerto al Governo dello Stato di San Paolo l’entrata in scena dell’esercito (com’era già avvenuto a Rio de Janeiro), intervento molto probabilmente inutile, ma con un sicuro effetto propagandistico. L’attuale Presidente della Repubblica Federale, Lula da Silva (PT), si contende la carica con Geraldo Alckmin del PSDB, partito d’opposizione a livello federale ma al governo dello Stato Paulista da un ventennio.

L’attuale Governatore di San Paolo, Claudio Lembo, per evitare una brutta figura in campagna elettorale al suo amico Geraldo Alckmin, ringrazia, ma rifiuta ogni aiuto del Governo Federale. In questo gioco di scacchi, gioco di potere e di sopravvivenza, chi perde è sempre il Brasile e i brasiliani, che vivono in un clima d’insicurezza totale, che piangono centinaia di morti ammazzati, violenza che fa di San Paolo e di Rio de Janeiro, tra le città “in pace”, quelle più pericolose per viverci a livello mondiale.

Mentre il mondo dei media e l’opinione pubblica sono giustamente concentrati sulla guerra nello scacchiere mediorientale, in Brasile si continua a morire di una guerra invisibile e poco raccontata. Se veramente questo 15 di maggio è stato l’11 di settembre brasiliano lo scopriremo tra poco… Per adesso la maggior parte dei brasiliani, dopo il lavoro e la scuola, nel normale coprifuoco di sempre, nel cantuccio riservato e protetto della loro casa (per chi ce l’ha), possono godersi le loro telenovele, quasi per non scoprire se la guerra continua più crudele e senza senso che mai.

Lorenzo Nacheli

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