ASIA: viaggio tra i nomadi

Pubblicato il 31-08-2009

di Renato Rosso

 

Missionario tra i nomadi del mondo, Renato Rosso come loro si sposta di frequente da un Paese all'altro dell'Asia, cogliendone il clima umano, sociale e politico.

 

di Renato Rosso

Aprile 2009

Cari amici,
ecco un altro po’ di storia dagli accampamenti del Bangladesh.

Febbraio '09 - Mi trovo a Savar, mezz'ora dalla capitale, dove per due mesi all'anno vivono circa 10mila zingari. Qui celebrano matrimoni e feste religiose dopodiché ripartono con le loro tende a gruppi di dieci, quindici famiglie. A Savar restano circa 400 persone: alcuni anziani, malati, ma anche qualcuno che ha iniziato un’attività diversa (generalmente commerciale), e tanti tanti bambini. Alcuni infatti viaggiano, ma lasciano i figli qui presso i parenti perché possano andare a scuola. Ad esempio i due figli di Rajjak 15 anni fa hanno iniziato la prima scuola mobile sotto le tende e dopo due anni sono venuti qui dai parenti per continuare la scuola; lo scorso anno, terminati gli studi superiori, sono tornati alle tende come insegnanti.

Qui a Savar però non ci sono solo gli zingari, ma anche una bella famiglia che ha deciso di condividere la vita insieme a loro: sono Prodip, 37 anni, e Dipika, 35 anni, con i figli Jemson di quasi tre anni e Jioias che sta facendo il primo compleanno in questi giorni. Otto anni fa Prodip era fidanzato, fidanzamento deciso dai genitori ma con il suo consenso. Prima di sposarsi incontrò una Comunità religiosa che lo affascinava più del matrimonio, e passò tre anni in quella realtà.

Per un fraintendimento fu invitato a lasciare la Comunità e mi chiese di lavorare con me, in quanto io lo conoscevo bene e in quei tre anni settimanalmente era andato ad aiutare in un paio di scuolette per zingari come insegnante d'appoggio. Si inserì molto bene, ma dopo il primo anno di condivisione col gruppo pensò che una realtà di famiglia lo avrebbe potuto aiutare.

Così si ricordò di quella ex fidanzata non ancora sposata e via telefono si rifecero la proposta di matrimonio. Lei si dichiarò felicissima di seguirlo a vivere con gli zingari e lui subito andò a trovare lei e i genitori per qualche accordo più preciso. Una giornata di viaggio e si rincontrarono.

Mi disse che fu molto bello e che si accese in lui una grande gioia mai provata prima. Alla fine della giornata, quando la ragazza vide Prodip così felice e i suoi genitori pure, pensò che ormai poteva avanzare una proposta più impegnativa e gli disse: "Se però tu vieni qui, potresti lavorare nella Caritas con un buon stipendio oppure nella W. Vision con un lavoro migliore di quello dì Savar; io sono già insegnante qui e possiamo vivere veramente bene. Vedi, Prodip, io ti voglio tanto bene, per questo ti ho aspettato tre anni, ma con gli zingari non mi sento di venire". Prodip rispose: "Io anche ti voglio molto bene, ma se non vieni con gli zingari io ci dovrò tornare da solo". E così tornò solo, dopo una giornata così coinvolgente come se ne vivono poche nella vita.

Qualche tempo dopo gli presentarono Dipika, che ha poi sposato. Lei lavorava con le suore Luigine e a detta delle stesse era una delle migliori insegnanti e collaboratrici che avevano.
Sono ormai cinque anni che questa famiglia di non zingari vive nel grande campo di nomadi e seminomadi, ed è diventata una preziosa presenza di Chiesa in un gruppo interamente mussulmano.

Ora, voi sapete meglio di me che, come il male attira i cattivi, il bene attira i buoni. E così è capitato che Agostino, 37 anni, con la moglie Shiulì, 32 anni, e il figlio Shubo di 11 anni sono stati attirati da questo "bene": fare bene il "bene", ricevere del "bene", volersi "bene" e tutto questo viverlo in un accampamento di nomadi. Quest'anno Agostino è già a Savar e insegna ai nostri marmocchi, mentre la moglie pure insegnante (nel loro villaggio) è rimasta là per aspettare che il figlio a fine anno dia l'esame della quinta elementare. Da gennaio ci sarà una nuova famiglia tra gli zingari di Savar. Per qualcuno potrebbe essere solo una notizia bella mentre per me è molto più di questo.

Fine marzo ’09 - Alcuni amici mi hanno chiesto di dire qualcosa circa i disordini avvenuti in Bangladesh nell'ultimo mese. Ho aspettato un poco a dire una parola sulla "guerra di Dhaka", come qualcuno l'ha chiamata. È passato ormai più di un mese da quando è avvenuto lo scontro nella capitale tra esercito e paramilitari (o guardie di confine).
Da poco tempo il nuovo governo era al potere e ci si poteva aspettare qualche disordine. Apparentemente e ufficialmente la causa sembrerebbe essere stata una rivendicazione per dei diritti disattesi (salari bassi, richieste sempre più frequenti di interventi ad alto rischio ecc.).
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I paramilitari, che sono non solamente a servizio dell'esercito ma anche comandati dalle autorità dello stesso, avevano molte ragioni per "rivendicare”, ma ciò che non era prevedibile era una discussione con le armi. Le ragione suddette non sono sufficienti per motivare una vera e propria cospirazione contro il governo.

Una rivendicazione che poteva esprimersi con scioperi o convegni o riunioni di massa non è pensabile che arrivi a un bilancio di 75 morti (questo il dato ufficiale, ma sembra siano più di 150). Le indagini, comunque non sono ancora terminate, anche perché oltre 1.300 paramilitari ribelli sono ancora latitanti (alcuni dei quali certamente morti e altri fuggiti). Questo è quanto si può dire a fine marzo. II fatto di cui ho parlato avrebbe potuto diventare una sorta di vera e propria guerra civile di vaste dimensioni e non siamo così certi che sia veramente finita.

Aprile ’09 - Mi trovo a Zamboanga, a sud delle Filippine. Da alcuni anni vengo in questo Paese dove diversi operatori pastorali e sociali si sono coinvolti nella missione tra i nomadi. Sto visitando il bellissimo progetto sostenuto dal Sermig di Torino, che sfida una situazione ad alto rischio tra i Bajjao: gli zingari del mare. Sono qui per imparare e offrire le esperienze dei miei amici. Ho già parlato altre volte di questo gruppo nomade, e dei padri Claretiani e delle suore FMM (Francescane Missionarie di Maria) che sono coinvolte specialmente nel lavoro di alfabetizzazione del gruppo.

Dopo un paio d'anni di relativa tregua sulle isole di Basilan, Jolo, Tawi Tawi e Siasi, quest'anno i terroristi hanno ripreso i sequestri e violenze varie. Da gennaio a fine marzo, solo sull'isola di Basilan (84 km. di circonferenza) sono stati effettuati 38 sequestri. Mentre scrivo, un italiano e uno svizzero, operatori sociali della Caritas, che sono andati a controllare un progetto, sono tutt'ora prigionieri nella foresta di Jolo. Due giorni fa un bambino di 9 anni è stato rilasciato a mezz'ora di distanza da qui, dopo tre mesi di prigionia. Oggi, nella piazza di S. Isabella, dove sono passato mentre rientravo, due ore fa, una bomba ha lasciato due morti e 6 feriti.

Chi porrebbero essere questi autori di banditismo? Si dice di tutto. Qualcuno dice che non si sa più dove sono i nemici né chi sono. Una volta erano nella foresta - si dice -, oggi possono essere nelle nostre case. Qualcuno li classifica del gruppo Abu Saiaff, altri li collegano al terrorismo iracheno, afgano o indonesiano. Altri intravedono legami con il governo filippino, con gli americani, con il petrolio in Mindenao o semplicemente un banditismo selvaggio, ma molto ben organizzato.

Le vittime sono comunque quasi sempre dei cristiani, i quali hanno una discreta posizione sociale in grado di pagare i riscatti. E la Chiesa continua ad essere là, presente e coraggiosa. Io mi sono fermato sull'isola pochi giorni, ma p. Dennis (34 anni) e p. Nico (29 anni) ci rimangono 365 giorni all'anno impegnati nella scolarizzazione di 308 bambini Bajjao.
Si aggiungono poi quelli che seguono le suore FMM. In questo momento non sono in possesso degli ultimi dati dell'attività delle suore perché vivono in una realtà ancora più isolata.

Io ero venuto qui per il Convegno Nazionale della Pastorale dei Nomadi, che a causa della situazione è stato posticipato, ma in uno dei nostri incontri informali padre Tennis - che vive nella palafittopoli di Maluso nell'isola di Basilan - mi ha lasciato questo messaggio, che io passo anche a voi: "Noi non siamo degli eroi a rimanere qui: altri missionari (alcuni dei quali sono stati uccisi) hanno lavorato qui prima di noi e altri lavoreranno dopo di noi. Questa è una caratteristica della Chiesa: rimanere al suo posto dove è e non fuggire mai”.

Renato Rosso

Per aiutare don Renato tramite il Sermig, vedi la Scheda “Bangladesh. Scuola itineranti”

Video “Le scuole vanno agli zingari. Tra India e Bangladesh” di Renato Rosso

 

 

 

 

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