A seggi chiusi

Pubblicato il 06-08-2023

di Claudio Monge

La recente campagna elettorale turca si è svolta nel segno di due parole chiave: “casa” e “religione”. A distanza di pochi mesi da un devastante terremoto che ha coinvolto undici province del centro-sud-est del Paese, mettendo ulteriormente in ginocchio un’economia da anni in grave sofferenza, era inevitabile che sul piatto delle promesse elettorali la questione abitativa divenisse cruciale. Se nell’emergenza sismica il sistema famigliare patriarcale è stato molto più decisivo, rispetto alle politiche governative e di protezione civile, l’uso propagandistico della consegna centellinata di nuclei abitativi (soprattutto durante le festività della fine del Ramadan, mese sacro del digiuno islamico), è stato un leitmotiv delle ultime settimane che hanno preceduto il voto del 14 maggio. Una corsa contro il tempo certamente non favorevole al rispetto delle regole antisismiche e della qualità in genere delle costruzioni (un punto dolente al centro non solo delle polemiche degli ultimi mesi, ma problema cronico in un Paese da sempre caratterizzato da un ambiguo rapporto tra poteri forti e comitati d’affari). Tuttavia, il bisogno urgente di un tetto ha sicuramente allentato i sistemi di vigilanza e, ancora una volta, si è costretti, non senza timori, ad affidare al tempo le conclusioni. Del resto, di fronte agli allarmanti dati economici e sociali (un tasso di inflazione del 112,51%, alimentato da una crisi valutaria che ha raggiunto il picco degli ultimi 24 anni, con l’85,51% dell’ottobre 2022), di cui il caro prezzi non è che la punta dell’iceberg, la risposta propagandistica cavalca sempre la retorica generica dell’odio, radicata su una visione complottistica del reale, con sullo sfondo non ben precisate battaglie di civiltà per la difesa di valori, regolarmente calpestati dagli avversari politici, con la complicità di forze straniere.

A proposito di opposizione politica, il dato più inedito della campagna elettorale appena conclusa è stato tuttavia il “coming out religioso” del leader dello storico partito “laico” kemalista, Cumhuriyet Halk Partisi (CHP), Kemal Kılıçdaroğlu, che ha rivelato di essere un alevita (ndr corrente dell'islam di derivazione sciita originaria dell'Anatolia a partire dal XIII secolo), un musulmano sincero, cresciuto con il credo di Hak Muhammad Ali, grato per la vita donatagli da Allah, rigoroso nel non calpestare i diritti dei servi e non tendere la mano all’haram (ciò che è religiosamente proibito). Questo è stato indubbiamente un colpo ardito dello sfidante del presidente uscente alle presidenziali perché, al netto della storia repubblicana del Paese (che a un secolo esatto dalla sua fondazione, ha ormai completato una mutazione ideologica a dir poco spettacolare) e dello statuto ai limiti dell’eterodossia dell’alevismo (ndr corrente dell'islam di derivazione sciita originaria dell'Anatolia a partire dal XIII secolo), si tratta di un messaggio chiaro all’elettorato tradizionalista e religioso, che Erdoğan ha sempre considerato acquisito a priori. Come non bastasse, è arrivato l’endorsement di uno degli alleati più conosciuti di Kılıçdaroğlu, il leader del Partito del Futuro Ahmet Davu-toğlu, ex-ministro degli esteri dell’attuale presidente e noto intellettuale di affermata fede islamo-sunnita (tra l’altro, nativo della città santa di Konya). Condividendo il video del leader CHP sui suoi account social, Davutoğlu ha dichiarato: «Diremo che siamo una cosa sola, abbiamo una storia comune. Quando qualcuno cercherà di seminare discordia tra noi, diremo basta. Sì, sono sunnita, ma è mio dovere difendere prima di tutto i diritti dei cittadini aleviti. È così che nascerà la nuova Turchia. Saluto il signor Kemal (Kılıçdaroğlu), messaggio ricevuto». Per tanti anni, una certa retorica inclusiva, anacronisticamente definita neo-ottomana, strizzando l’occhio alle minoranze non islamiche, aveva per molti versi discriminato migliaia di persone all’interno dell’islam stesso, lasciando non pochi gruppi islamici, soprattutto di ispirazione sufica, nelle catacombe della storia. La rivoluzione ideologica, di matrice comunque nazionalista, che sta coinvolgendo il Partito Repubblicano (per diversi decenni, partito unico in Turchia) con i suoi alleati, comporta, oltre alla contestazione di una laicità un tempo imposta dall’alto dal kemalismo stesso (lo denuncia Davutoğlu dicendo di capire molto bene il suo alleato alevita, in quanto lui stesso a lungo discriminato, come accademico, per le sue convinzioni religiose), un appello a un’unità nazionale cimentata da valori islamici non più discriminatori. Che ne sarà dei non musulmani e dei non credenti? Sarà il futuro a dirlo.


Claudio Monge
NP maggio 2023

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