The king

Pubblicato il 03-09-2021

di Luca Periotto

Torino, Giardini Reali - 6 luglio 1997. Quella sera Ray Charles cominciò il suo concerto in ritardo. Si disse che fosse contrariato del fatto che in seguito ad un suo stesso capriccio (una cosa da star ovviamente) riguardante il desiderio di bere un calice di Dom Pérignon, la produzione presa in contropiede, trovando disponibile "soltanto" una bottiglia di Veuve Cliquot cercò di "barare", contando sul fattore cecità del musicista, forse pensando che non se ne sarebbe accorto. Che stolti! Bastò questo a scatenare una piccola lite tra ilarità e imbarazzo. Io che mi trovavo in prima fila, lo vidi arrivare alle mie spalle vestito di bianco, claudicante, con il passo del metronomo vivente. Ero riuscito a guadagnarmi quel posto privilegiato per aver accettato di spingere la carrozzella di una signora invalida priva di accompagnatore, incontrata alla biglietteria.

"The king" fu accompagnato sottobraccio da un addetto della produzione che lo fece passeggiare fino al palco, in mezzo al pubblico delirante che lo applaudì in segno di benvenuto.
Intanto l'orchestra, 5 elementi scelti di altissimo valore, aveva già preso posto ed aveva incominciato a suonare una "intro" di ritmica, un pezzo di introduzione che servì a smorzare il brusio fino a quando si spense del tutto. Ci fu un breve silenzio, poi quando Ray Charles salì sul palco ci fu solo la magia per la quale tutti eravamo stati disposti a pagare: un regalo ai cinque sensi! La luce che fino a quel momento aveva illuminato le facciate beige di Palazzo Reale si dissolse lasciando solamente accese una manciata di puntini bianchi, la via lattea che era scesa per trasformarsi in luce teatrale illuminando le postazioni dei musicisti sul palco.

Ray Charles cominciò a suonare delicatamente, accarezzando la tastiera quel tanto che bastava alle note per diffondersi, giocandosela alla pari con i grilli dei giardini reali, coinvolgendo il pubblico silenzioso e attento alla musica. Più o meno si fa così quando si ascolta una poesia. La magia della musica fu così potente che ad un certo punto, durante un brano, il pubblico si alzò per vedere meglio il genio in piedi che martellava senza riserve quel povero strumento di plastica. La tastiera venne percossa così forte che ondulando sobbalzava, si sarebbe potuta rompere. Se avesse potuto, il re del soul, in quel momento di stato di grazia, ci sarebbe salito sopra con i piedi!

Io mi resi conto di aver portato con me soltanto due rullini Tri x, uno dei quali era già quasi terminato. L'altro neanche farlo apposta, aveva la sensibilità troppo bassa. Perciò dovetti stare attento a non fare più di dieci scatti, troppo pochi, pensai, per soddisfare la mia famelica fame fotografica. Chi non è fotografo o artista non può capire... Considerata l'età dell'artista pensai che quella probabilmente sarebbe stata l'ultima occasione per poterlo vedere dal vivo nella mia città, e non mi sbagliavo. In quel periodo in cui mi stavo facendo le ossa come fotografo mi era venuta voglia di fotografare i musicisti che hanno creato la storia del Jazz.

Quando tornai a casa non andai neppure a dormire, mi precipitai nel bagno che avevo attrezzato come camera oscura e preparai gli acidi necessari per poter sviluppare quell'unico rullino. Le foto che precedevano il concerto, in effetti non mi interessavano più di tanto dato che erano "scarti d'ordinanza", allenamenti della vista che un fotografo registra senza pensare. Poi vidi quegli ultimi scatti, esattamente quelli che vanno dal 32 al 36esimo, prodotti con la mia Olympus OM 35mm: mi fecero venire i brividi! Ero riuscito a catturare esattamente ciò che avevo in mente: una sola immagine in cui l'artista è ritratto in una posa plastica, seduto al pianoforte, con l'elemento microfono che sembra essere uno dei suoi occhi che fuoriesce dalle orbite di un'altra galassia che non è e non può essere certo la nostra. Ciò che veramente contava per me quella sera era poter vedere un genio dal vivo, cercare di capire quale fosse la fonte delle sue ispirazioni musicali.

Ray Charles cominciò ad essere cieco fin da piccolo, da quando attorno ai 4 anni fu colpito da un glaucoma agli occhi che lo fece diventare rapidamente cieco. Mi domandai vedendolo suonare, quante e quali immagini fosse riuscito a memorizzare prima che la luce sparisse dalla sua vista. Tutti noi che ci vediamo non ci rendiamo minimamente conto di quanto sia importante far tesoro delle cose che i nostri sensi producono. Proviamo ad immaginare di fare un percorso lungo, lunghissimo, qualcosa di anormale. Prendiamo le nostre gambe, iniziano a camminare senza preoccuparci del tempo che passa. Poi ad un certo punto ci fermiamo e ci rendiamo conto di aver fatto un viaggio che nemmeno la nostra macchina, per quanto comoda possa essere, avrebbe potuto permetterci di fare. Nel corso della storia tutti i grandi artisti hanno usato i loro sensi per attingere dalla loro creatività, e noi che abbiamo tutti gli organi a posto, stiamo commettendo il grave errore di delegare tutte le nostre potenzialità all'effimera tecnologia.


Click Luca Periotto
NP maggio 2021

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