Quelli del 2000

Pubblicato il 29-09-2020

di Matteo Spicuglia

Chi non c’era non può capire. Roma, agosto del 2000. Un’estate sospesa. Senza social, perché non esistevano ancora. Senza pensieri, perché a vent’anni guardi solo avanti. Senza paura, perché è bello condividere e specchiarsi nella vita degli altri. «Questo chiasso ha sentito Roma e non lo dimenticherà mai!», disse il papa ormai anziano. Giovanni Paolo II era malato, ma diede fondo ad ogni energia per essere presente all’evento del Giubileo che forse gli stava più a cuore. Quella Giornata mondiale della gioventù che, secondo le sue intenzioni, avrebbe dovuto dare un volto alla speranza di inizio millennio. Fu così. Dal 15 al 20 agosto, Roma fu invasa dai giovani di tutto il mondo. Nella veglia conclusiva alla spianata di Tor Vergata erano due milioni: colori, culture, lingue diverse, la stessa fede. L’immagine entrata nella storia del papa che passa sotto un grande crocifisso, mano nella mano con cinque giovani di ogni continente. 

Parole che restano come pietre. «È  Gesù che cercate quando sognate la felicità; è lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.

Cari amici, vedo in voi le sentinelle del mattino in quest’alba del terzo millennio. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti».

Un programma di vita, certo. Ma anche speranza concreta in un’epoca diversa da quella attuale: l’11 settembre impensabile, come il fiume di sangue che sarebbe seguito tra Afghanistan e Medio Oriente; la crisi economica ancora lontana, nonostante ingiustizie e disuguaglianze; la pace a portata di mano tra israeliani e palestinesi; la Chiesa non ancora nel vortice degli scandali su abusi e pedofilia. In quei giorni, il papa con semplicità diede voce alla parte migliore dell’umanità, ai sogni di cambiamento che mettono radici in chi è disponibile. Col senno di poi, si può dire senza dubbi che il suo pontificato sia stato riflesso di luci e ombre. Ma lui era una persona credibile e chi lo ascoltava lo sapeva bene.

Di fronte alle immagini oceaniche della GMG di Roma, qualche osservatore parlò di generazione GP2. Espressione ad effetto che però ha un fondo di verità. Perché è vero: quei giovani non erano migliori di altri, molti si sono persi, hanno lasciato ammuffire i loro ideali, diventando adulti indifferenti. Ma tanti altri si sono messi in gioco, ci hanno creduto veramente, chi in famiglia, chi attraverso una scelta religiosa, chi nell’impegno nella società. Sono passati venti anni, ma gli uomini e le donne che sono diventati sono l’impasto anche di quelle parole ascoltate in una notte d’estate scolpita dentro. Perché «questo chiasso ha sentito Roma e non lo dimenticherà mai». Nemmeno loro hanno dimenticato.

Quei giovani non erano migliori di altri, ma tanti si sono messi in gioco, una solida strada per ripartire.

Matteo Spicuglia
NP agosto-settembre 2020

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