La cura della memoria

Pubblicato il 16-04-2022

di Matteo Spicuglia

Christian Greco colpisce per le cose che dice, ma soprattutto per come le dice. Comunica passione, grande cultura, umiltà, la bellezza di chi ha avuto il dono di poter fare del proprio sogno un lavoro. Egittologo di fama internazionale, dal 2014 ha la responsabilità del Museo Egizio di Torino, il più importante al mondo dopo quello del Cairo. La parola d'ordine è prendersi cura, custodire la memoria, un patrimonio che “appartiene a ciascuno di noi”.

Cosa significa in concreto?
A volte faccio un paragone molto ardito.
Pensiamo a una persona che viene colpita da una malattia degenerativa, che non riesce più a orientare il passo nel presente e avere uno sguardo per il futuro. Così una società senza memoria non riesce più a stare in piedi. I musei, gli archivi, le biblioteche sono la nostra memoria collettiva, quindi appartengono a tutti. Il museo non è del direttore pro tempore, ma come dice l'articolo 9 della Costituzione, è della Repubblica.

58 siti patrimonio mondiale dell'Unesco…
Sì, ma c'è un altro dato incredibile.
Appena il 26% degli italiani dichiara di visitare un museo una volta all'anno, a fronte del 91% dei Paesi scandinavi, di quasi l'80% della Germania, del 60% della Francia. L'Italia è all'ultimo posto subito prima della Grecia. Tra l'altro è sintomatico che siano proprio l'Italia e la Grecia a essere al fondo della lista. E quindi a fronte di un patrimonio culturale enorme, i musei non sono vissuti, non sono visti come un luogo di accrescimento, un luogo in cui noi ritroviamo la nostra memoria, un luogo di innovazione, un luogo in cui impariamo qualche cosa.

Come si spiega una deriva di questo tipo?
Io credo che non sia colpa di chi non viene, ma di chi gestisce. Vuol dire che non siamo stati capaci di comunicare il nostro valore. Il discorso però è amplissimo. Faccio alcuni esempi. In Italia in nessuna scuola di ogni ordine e grado insegniamo l'archeologia, spieghiamo il paesaggio è un palinsesto in cui l'elemento antropico ha operato, che ogni frammento, che ogni strato parla di noi, della nostra memoria. Io credo che sia la cosa più importante che ci contraddistingue dagli animali, perché la memoria è la forza e la molla del progresso, che ci mette in grado ogni volta di non reinventare la ruota o la scrittura. È tutto ciò che ci permette di crescere partendo dal sapere, dalla ricerca, dalle scoperte delle generazioni precedenti. Il museo rende visibile tutto questo, ma ci insegna molto di più.

Cosa?
Che non esistono risposte semplici a fenomeni complessi, che la storia dell'umanità è sempre stata una storia di rottura, di frattura, di cadute, di momenti in cui ci si rialzava, di grandi crisi. Ma attenzione: il museo non è un dato di fatto, piuttosto la volontà della società di fare questa costruzione culturale che permetta ancora una volta di portare avanti la memoria delle generazioni precedenti.
Una dimensione per nulla scontata.

Lei parla spesso della differenza tra tutela, valorizzazione e cura del patrimonio culturale. Cosa intende?
Il codice dei beni culturali del 2004 dice che allo Stato spetta la tutela e la salvaguardia del patrimonio, mentre agli enti locali e ad altri enti spetta la cosiddetta valorizzazione. Qual è la differenza? La tutela viene definita come la salvaguardia, il restauro, la conservazione. Al contrario, la valorizzazione è l'attività che fanno i musei, quindi rendere possibile la fruizione del patrimonio culturale. Io penso che questa dicotomia sia una dicotomia fittizia perché non si può pensare di fare tutela, salvaguardare il patrimonio, semplicemente con degli atti coercitivi che impongono dei divieti. Certo sono necessari in un Paese come il nostro che è stato devastato dall'abusivismo edilizio, ma la tutela vera è quella che permette al patrimonio di non cadere in oblio, di essere conosciuto e ricordato. Proprio per questo ho proposto di sostituire tutela e valorizzazione con la cura.
Una parola bellissima.

Cosa aggiunge?
Prendersi cura del patrimonio significa innanzitutto conoscerlo, studiarlo, pubblicarlo, metterlo a disposizione della comunità scientifica, fare in modo che tutti possano essere educati e che questa enciclopedia materiale del passato riesca a farci crescere e camminare. Per esempio, è possibile capire come nella diacronia dei secoli si siano cristallizzate determinate decisioni che determinano ancora oggi le nostre azioni. In questo senso, il patrimonio ci chiede di essere soprattutto ascoltato e i musei hanno un'arma incredibile per farlo: la ricerca.

In che misura gli oggetti del passato possono parlare al presente e al futuro?
Noi pensiamo di creare gli oggetti, ci sentiamo un po' come Dio. Riflettiamo invece molto poco sul fatto che gli oggetti creino noi. Sembra una cosa strana, ma in realtà non è così avulsa. Pensiamo agli smartphone o alla presenza delle macchine nella nostra vita. Oggi senza i calcolatori che pensiamo di aver creato, il mondo letteralmente si fermerebbe.
Immaginiamo cosa succede con gli attacchi hacker. Questo per dire che gli oggetti in realtà creano a loro volta noi stessi, le strutture della società e ci permettono di sopravvivere. Ebbene, se questo avviene per oggetti attuali, a maggior ragione accade con quelli del passato che hanno catturato al loro interno le vite di coloro che ci hanno preceduto. Questi frammenti di memoria costituiscono per noi un ponte fra il passato e il futuro. Con una immagine plastica immagino due sponde di un fiume, attraversato da un ponte. Il ponte costituito dalla cultura materiale del passato. A volte è mezzo crollato, ma ci sono dei ciottoli che ci permettono di guadare. L'acqua del fiume è il tempo che scorre, sempre diverso.
Ebbene, quei ciottoli sono gli oggetti che provengono dal passato, le ancore che ci permettono di attraversare il tempo. Quindi sono davvero la memoria del futuro, sono la conditio sine qua non che noi possiamo operare nel presente, sono coloro che orientano il nostro passo. Senza quei ciottoli non sapremmo dove guadare il fiume.

È una metafora molto bella…
Per me c'è un senso meraviglioso. Al di là del credo di ognuno, anche in una chiave laica possiamo dire che nessuna vita è stata inutile. Se il mio contributo fosse servito anche per una piccola nota a pié di pagina, io avrei contribuito alla crescita dell'umanità.
Per me è una cosa meravigliosa che peraltro ci fa sentire meno soli, ci dà più forza per affrontare il presente, ci fa capire che siamo in un continuum storico. Siamo un tassello che arriva dopo migliaia di anni e che ha davanti a sé altri migliaia di anni, altre generazioni che magari potranno imparare qualcosa da noi.

La mentalità attuale invece sembra ancorata a un eterno presente.Come se lo spiega?
Secondo me dobbiamo recuperare il significato del tempo che ci fa capire come noi siamo un anello di un continuum. Questo eterno presente in realtà esiste per esorcizzare la morte, per far finta che non appartenga a noi. Con un paradosso. Pensiamo di vivere in una società laica che in realtà è estremamente credente.
Solo che i templi, le sinagoghe, le moschee sono state sostituite molto spesso dalle beauty farm, dai centri estetici, dalle palestre. Un modo per cercare di nascondere i segni del tempo e allontanare metaforicamente la morte. Come se ne esce? Come si recupera lo sguardo giusto sulle cose? L'unico modo è accettare la caducità della nostra esistenza e al tempo stesso il ruolo che possiamo avere nel far progredire l'umanità. Sta lì il senso della nostra esistenza. Se cominceremo a ragionare in questo modo e vedremo in questo uno dei significati della nostra vita, non avremo più paura dei nostri limiti, della fragilità della nostra condizione. Al contrario, ci congiungeremo con le generazioni passate e creeremo un ponte con quelle future, felici di affidare a chi verrà dopo di noi quello che avremo costruito.

Qual è la chiave della sua passione?
Dopo tanti anni ho capito una cosa molto importante. Oggi ho la fortuna di essere direttore del Museo Egizio, ma in teoria potrei essere sostituito.
Tuttavia, anche se domani mattina dovessi andare a insegnare in una scuola superiore, a fare il barista come ho fatto, a lavorare in un hotel continuerei a essere un egittologo, potrei continuare a studiare e pubblicare, continuerei ad avere questa libertà. Quello che vorrei dire ai giovani è di investire in se stessi per avere la libertà critica del pensiero.
Non permettete mai a nessuno di dire come dovete pensare. La chiave di tutto è lo studio che ci rende liberi e ci rende cittadini, non sudditi: una delle cose meravigliose della nostra società.


Matteo Spicuglia
Focus
NP gennaio 2022

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