Il barometro dell’accoglienza

Pubblicato il 07-08-2022

di Claudio Monge

La Turchia, che ospita circa 3,75 milioni di rifugiati siriani, fin dai primi anni di quel decennale fronte di crisi, non è immune dall’attuale ondata di rifugiati ucraini riversatisi soprattutto entro i confini europei. Secondo fonti del Ministero degli Interni turco, sarebbero ormai circa 60.000 i cittadini dell’Ucraina accolti in emergenza in Turchia, Paese che in passato ha sempre rappresentato una delle mete preferite del loro turismo come, del resto, di quello russo. I russi, peraltro, da anni hanno avviato innumerevoli attività commerciali sul suolo turco, in modo particolare nel settore dell’abbigliamento, facilitati dall’ottenimento agevolato dei permessi di soggiorno. È questa una ragione per cui, in queste settimane anche non pochi studenti universitari russi, trovando chiuse le porte UE, si rifugiano proprio a Istanbul, per sfuggire all’arruolamento in un esercito che combatte una guerra che contestano.

Tornando al dossier dei rifugiati siriani, Ankara teme ora che gli aiuti finanziari erogati da anni dall’UE per la gestione di questa emergenza, siano drasticamente ridotti. Il governo turco lamenta il fatto che l’Europa avrebbe già disatteso gli impegni politici nell’ambito dell’accordo sull’immigrazione, tra cui la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi che viaggiano in Europa, l’apertura di nuovi capitoli per il processo di adesione all’UE e i negoziati sul potenziamento dell’Unione doganale UE-Turchia del 1995.

Intanto, secondo il rapporto annuale Syrians Barometer-2020, sostenuto dall’ UNHCR Turkiye (l’Alto Commissariato ONU per i rifugiati) e volto a implementare la coesione sociale con i siriani in Turchia, emerge un quadro timidamente positivo ma non privo di alcune incongruenze. Commentandolo Murat Erdogan, direttore del Centro di ricerca sull’asilo e la migrazione (MUGAM) di Ankara, ha dichiarato che la maggior parte dei siriani fuggiti in Turchia dalla guerra civile nel loro Paese, sono felici e non vogliono tornare a casa. Il rapporto Syrians Barometer, giunto alla sua terza edizione, si basa su sondaggi diretti condotti con 2.259 cittadini turchi in 26 province scelte dall’Istituto statistico turco (ricordiamo che, tra il 2011 e il 2021, secondo fonti del Ministero degli interni turco, quasi 175.000 siriani hanno già ricevuto la cittadinanza turca).

Un totale di 1.414 famiglie sono state poi intervistate fornendo informazioni su quasi 7.000 siriani sotto protezione temporanea in 15 province anatoliche. Sempre secondo il professor Erdogan, nel 2017, il tasso di coloro che dichiaravano di non voler tornare in Siria era assestato intorno al 16%, salendo poi al 34% nel 2019 e successivamente ancora fino al 58%. Le ragioni fondamentali di questo “crescente amore per il Paese che li ospita” sono il fatto che la guerra in Siria è diventata cronica, lasciando solo macerie e un Paese frammentato e insicuro, senza molte speranze per una stabilizzazione in tempi brevi. Tornando alla diaspora siriana però, la vita quotidiana e, in particolare, le condizioni di lavoro in Turchia sono comunque un problema non indifferente. Se lo status temporaneo di rifugiati non impedisce loro l’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione e all’assistenza sociale, nonché allo stesso mercato del lavoro, rappresenta tuttavia una grossa incognita a lungo termine.

C'è poi un altro fattore da non trascurare, forse il più importante. Secondo il professor Erdogan, sebbene i siriani stiano cercando di stringere legami più stretti con la società turca, il mondo turco rimane freddo e distante. Anzi, negli ultimi anni c'è stato un cambiamento radicale nel giudizio dell’opinione pubblica turca sui siriani, visti oramai come uno dei maggiori problemi che affliggono il Paese, dopo la crisi economica e il terrorismo. Insomma, alcuni gravi atti di violenza di stampo fascista al loro indirizzo, in diverse regioni del Paese, non sono che la punta dell’iceberg di un’ostilità crescente.


Claudio Monge
NP aprile 2022

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