Imprevisti del volo

Pubblicato il 04-11-2021

di Mauro Tabasso

Una mattina di qualche giorno fa sono stato svegliato da un piccolo passeraceo che si è posato sul mio davanzale e ha cominciato a cantare melodiosamente a squarciagola.

Ma che bell'animaletto! Sono sceso dal letto e quatto quatto ho preso il telefono per fargli una foto. Come ha notato i miei movimenti la bestiola ha smesso di cinguettare, ma non è volata via. Piuttosto seguiva le mie mosse con la testolina di traverso, con curiosità. Quando l'ho avuto "a tiro", ho puntato la fotocamera e lui, fissandomi e inclinando la testolina dall'altra parte, ha defecato copiosamente, spruzzando i suoi cataboliti sul davanzale e sui miei panni, stesi sul balcone sottostante. Grandissimo figlio di buona ovipara!!! Io mi intenerisco e tu mi butti il guano addosso? Ma allora sei reprobo dentro, "inside"!!! Quello che segue è il dialogo immaginario tra me e il passero dal colon irritabile. Io: «Sei veramente odioso! Stai in campagna, la campagna è grande, tutta da concimare… Qui la dovevi fare? Proprio sui miei vestiti?». Lui: «Vestiti? Scusa, ma io sono un granivoro e insettivoro privo di vescica (per questo la faccio liquida) e la faccio dove mi pare, dove mi trovo, un posto vale l'altro. Non ho visto i tuoi panni, e poi cosa sono ‘sti panni? Io addosso non ho niente, ho solo le ali. Se indossassi qualcosa non potrei più volare».

Ma guarda… E io che panni indosso? Sono panni che mi permettono di volare oppure mi tengono inchiodato a terra? Mi fanno esplorare il cielo e vedere il mondo dall'alto oppure non mi procurano altro che miseri frutti, misere conseguenze, come il colon irritabile e le feci liquide? Mi sono mai chiesto veramente che abiti indosso? E ammesso che sia in grado di trovare una risposta più veritiera della mia immagine riflessa in uno specchio, la risposta mi piacerebbe? Tra tutti i passeri che volano in campagna, ho incontrato quello rompiscatole e impertinente amico di Del Piero, ma le domande che mi induce a pormi sono importanti. Ogni tanto è bene mettersi nei propri panni, poi guardarsi dal di fuori e chiedersi come vediamo noi stessi e come ci vedono gli altri, due versioni che spesso non combaciano. Io penso di indossare i panni di un musicista, ma non di uno qualunque. Ci sono artisti infinitamente più bravi, fortunati e famosi di me, e non ce n'è uno solo, ma tantissimi. Però io faccio qualcosa di speciale. Quando faccio musica, quando ne parlo, quando ne scrivo, sono consapevole di offrire a me stesso (e forse agli altri) la mia migliore versione. Ecco perché continuo a vestire quei panni, cercando sempre di migliorarli, di averne cura, di tenerli puliti fuori e dentro, di rattopparli quando si rompono, di rinforzarli quando si usurano.

Mi devono durare e voglio anche che mi inducano non solo a sembrare ma anche a essere migliore. Vesto molti altri panni: di un padre, di un marito, di un fratello, di un amico, e ognuno di questi vestiti parla di me. Di tutti cerco di avere cura. L'abito non fa la persona, ma in questo caso le vesti, i ruoli, fanno parte della persona, che attraverso di essi si esprime, comunica, vive. Amo tutti i miei abiti, li difendo, non permetto a nessuno di sporcarli. Forse non mi consentono di volare, ma ciò che mi interessa davvero, è che servano a far volare qualcun altro, e anche a ricordargli che se imparerà a volare non avrà mai il diritto di farla dovunque, magari per aria, o rischierà di buttarla addosso a qualcuno che sogna di imparare anche lui a volare.


Mauro Tabasso
NP giugno / luglio 2021

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