Vanagloria, la sindrome del supereroe

Pubblicato il 26-07-2020

di Flaminia Morandi

Kenodoxìa si dice in greco vanagloria, la pretesa di essere considerati, rispettati, ammirati dagli altri. È la fase infantile della superbia, il suo inizio, tanto che i Padri a volte considerano le due passioni insieme: infatti sono sette i peccati capitali della tradizione occidentale, mentre per Evagrio, che con intuito sottile le divide, sono otto le radici del disordinato pensare.

Il vanaglorioso vive perennemente in maschera come su un palcoscenico dove recita l’immagine che vuol dare di se stesso, in modo che nessuno veda le sue debolezze e limiti. Disprezza quello che fanno gli altri, è convinto che solo quello che fa lui è speciale, perché lui è un supereroe.
È infatuato di sé, si gonfia e si lascia andare a discorsi esibizionisti, dice Gregorio Magno. Non credano gli spirituali di essere esenti da questa passione ridicola: il demone della vanagloria arriva quando vede moltiplicarsi le virtù, dice Cassiano.

E san Massimo: se vinci le passioni più vergognose, ecco che ti assalgono pensieri di vanagloria. L’origine della vanagloria è una sorta di compensazione distorta: l’uomo ha perso l’unica vera gloria, la gloria di Dio, e come un uomo nudo che cerca un brandello di stoffa per coprire la sua indecenza, va in cerca della gloria degli uomini, dice Doroteo di Gaza.

La vita del vanaglorioso si basa su un’illusione, su una visione delirante della realtà, come quei genitori che vedono belli i loro figli bruttissimi, dice san Massimo. Il vanaglorioso si convince che i suoi sogni di gloria siano veri, compresa l’illusione pericolosissima di essere arrivato alla vetta della vita spirituale e avere acquisito tutte le virtù: ed ecco che attraverso l’amore della gloria terrena i demoni saltano nell’anima come da una finestra oscura e la devastano, dice Diadoco di Fotica.

La terapia proposta dai Padri si basa come sempre sull’azione contraria: se il vanaglorioso cerca l’ammirazione, la strada da percorrere è nascondere le proprie virtù agli occhi degli altri e mostrare invece tranquillamente i propri difetti, dice Giovanni Climaco (icona). Uno che non si vergogna del proprio cattivo carattere è già sulla buona strada. L’inizio della vittoria sulla kenodoxìa, dice, è l’amore per le umiliazioni: un fratello che ti ha umiliato, cioè ti ha mostrato anche tacitamente le tue miserie, è come un angelo attraverso cui arriva il rimedio che Dio ti manda per il tuo male. Ciò che va sepolto di noi non sono le cattiverie, ma le virtù.

I peccati invece vanno portati alla luce, fatti uscire come il pus da un foruncolo infiammato. Riconoscere i propri mali, offrirli alla gloria di Dio, questo è pregare, dice Climaco. E mentre preghiamo, ecco la guarigione: il distacco dall’ansia di prestazione, la libertà di essere se stessi e finalmente cominciare ad amare e compatire, sé e gli altri.

Flaminia Morandi
NP febbraio 2015

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