Antica presenza

Pubblicato il 21-05-2022

di Claudio Monge

A dispetto del fatto che, nell’ultimo ventennio, la Turchia abbia decisamente sostenuto la causa palestinese nell’interminabile conflitto Medio-orientale, la Repubblica nata sulle ceneri dell’impero ottomano, non può ignorare il ruolo della comunità ebraica nella propria storia, soprattutto culturale ed economica.
A fine dicembre 2021, pur senza darne una particolare enfasi mediatica, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha ospitato, presso il palazzo presidenziale di Ankara, una delegazione di rabbini per il primo vertice dell’alleanza dei rabbini degli Stati islamici. La maggior parte dei delegati proveniva da Paesi a maggioranza musulmana come il Kazakistan, l’Iran, l’Albania e gli Emirati Arabi Uniti. Nel suo intervento il presidente turco ha fatto riferimento all’importanza delle relazioni turco- israeliane e della lotta comune contro l’antisemitismo e l’islamofobia nel mondo.

Ha poi evocato l’espulsione degli ebrei sefarditi dalla Spagna nel 1492, al culmine della Reconquista, sottolineando come lo spirito che ha permesso agli ottomani di abbracciare gli ebrei allora (regnante il sultano Bayezid II), sia ancora vivo oggi. Al netto di un messaggio che è pragmaticamente politico e propagandistico (ci pare fuori luogo vedervi delle aperture nel senso di un “dialogo interreligioso”), è importante sottolineare come la data del 1492 sia la chiave di un discorso storico che considera l’arrivo degli ebrei sefarditi nelle terre ottomane, come l’inizio di un’era speciale di convivenza e tolleranza tra musulmani ed ebrei nell’impero ottomano.

Benché quest’idea abbia avuto una grande influenza sulle percezioni accademiche e popolari della storia ebraica in Turchia, essa ha il difetto di ignorare che il 1492 non segna di fatto l’inizio della convivenza tra turchi musulmani ed ebrei in Anatolia.
Ridurre la presenza ebraica ai sefarditi, cancella la memoria delle comunità romaniote (ebrei di lingua greca di Roma e poi dell’impero bizantino, infine assimilate dalla comunità sefardita), karaïtes, ashkenazite, neo-aramaiche e di lingua araba preesistenti alle conquiste ottomane.

In secondo luogo, è una prospettiva che fa degli ebrei, come di tutte le altre minoranze islamiche e non, ospiti perpetui, che non possono aspirare a una piena cittadinanza, ma al massimo sperare di essere tollerati, esprimendo eterna riconoscenza a chi li ha gentilmente accolti. Scoperte archeologiche, che continuano anche ai nostri giorni, dimostrano come gli ebrei arrivarono in Anatolia addirittura tra il VI sec. e il 133 a.C., quando i romani giunsero in queste terre. I loro primi insediamenti furono in Frigia e Lidia e nelle città greche nell’Anatolia occidentale. A Priene, Sardi, Mileto e Andriache (nelle vicinanze di Demre e Mira), sono state ritrovate diverse vestigia delle antiche comunità ebraiche, con iscrizioni in greco ed ebraico e incisioni di menorah. Proprio in riferimento a questi ritrovamenti archeologici, nel novembre scorso, per la prima volta nella sua storia, il Museo Ebraico della Turchia di Istanbul ha organizzato una mostra temporanea intitolata: L’identità ebraica incisa nella pietra e dedicata alle antiche sinagoghe dell’Anatolia, evidentemente precedenti alla mitica data del 1492.

Lo sforzo è proprio quello di allargare lentamente la prospettiva storica sulla presenza degli ebrei, al cuore di una ricchezza di culture e appartenenze che ha sempre caratterizzato la storia di questi straordinari crocevia dell’antichità. Questo senza rinunciare a raccontare, l’epopea, soprattutto istanbuliota, degli ebrei sefarditi venuti dalla Spagna, che ancora oggi parlano il ladino e che superano certamente le ventimila unità, pur essendo massicciamente emigrati anche in Israele, soprattutto negli anni del Secondo conflitto mondiale e della follia nazista.


Claudio Monge
NP febbraio 2022

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