Ambiguo silenzio

Pubblicato il 24-08-2020

di Flaminia Morandi

Anni di silenzio risentito deve aver passato il figlio maggiore della parabola narrata dal Vangelo di Luca, se quando il padre esulta per il ritorno del figlio minore, sbotta: Ti ho obbedito per anni e non mi hai mai dato un capretto per far festa con gli amici. Torna questo tuo figlio che ha bruciato i tuoi soldi con le prostitute e ammazzi il vitello grasso! Il silenzio non è sempre buono.

Abba Poemen era un monaco egiziano vissuto a cavallo tra il IV e il V secolo, noto per la dolce misericordia suggerita dal suo stesso nome religioso, Poemen, cioè pastore. Diceva: “C’è un uomo che sembra tacere e il suo cuore giudica gli altri; è uno che parla sempre!
E ce n’è un altro che parla da mattina a sera e custodisce il silenzio, perché non dice niente che non sia utile”.
C’è un discernimento del silenzio, anzi, dei silenzi. Il silenzio del figlio maggiore già conta i soldi che gli toccheranno alla morte del padre, di cui ha paura e che non ha mai amato.

C’è il silenzio ostile che misura l’altro, lo disprezza, gli sbatte la porta in faccia. C’è il silenzio opportunista di chi vuole mantenere il controllo sull’altro ed essere lui a condurre il gioco della relazione: come il silenzio ipocrita dei capi religiosi del Te m - p i o che s i sottraggono alla domanda di Gesù, da dove veniva il battesimo di Giovanni, se da Dio o dagli uomini. C’è il silenzio dell’autoinganno di chi è inchiodato al proprio io e tenta in tutti i modi di lucidare la propria immagine, come il fariseo nel Tempio, chiuso in uno monologo in cui è lui l’unico metro di giudizio.

C’è il silenzio di chi passa la vita nell’acquisizione avida delle virtù, usate per costruire il proprio monumento da sfoggiare con gli altri. C’è il silenzio di chi si rifiuta di riconoscere che dietro a certi suoi slanci apparentemente bellissimi si cela qualche vizio occulto: come chi non vuole prendere atto delle proprie tendenze omosessuali e scambia la paura che prova all’idea di affrontare a viso aperto il suo problema, con la vocazione a farsi prete. Potrebbe essere uno splendido sacerdote, se solo riconoscesse con umiltà ciò che si ostina a seppellire.

Così come il virtuoso a tutti i costi potrebbe diventare un santo se avesse l’umiltà di ammettere che quello che sbandiera di fare per gli altri, fa bene innanzitutto a lui stesso. Sono tutti “silenzi maledetti”, questi, diceva Giovanni Climaco.

Per curarci da questi silenzi di morte, Gesù impasta la terra con la sua saliva, ce la mette sulle labbra, ci infila le dita nelle orecchie, ci esorta ad aprirci: “Effatà!”. Vorrebbe sentirci dire finalmente una parola di vita, l’unica che nasce dal silenzio benedetto, che tace per non accusare e per dare tempo all’altro di imparare ad amare.
Il silenzio umile che lascia liberi di essere, a costo di non essere capito. Il silenzio di Dio.

Flaminia Morandi
NP gennaio 2016

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