In cammino con Luca (15/18)

Pubblicato il 27-09-2012

di laura e giancarlo

Ricercare la gioia di Dio [2] di p. Mauro Laconi - Per cogliere il significato della parabola del figliol prodigo nella precedente riflessione ci siamo soffermati sull'epilogo. Ora ne affrontiamo i temi portanti.


Il prologo

L'aspetto essenziale da cogliere nel prologo, che ci racconta la storia del figlio minore, è l'abbandono della casa del padre. Poiché il padre raffigura Dio, l'atto di lasciare la sua casa descrive il peccato, che si contrappone alla grazia.
Nella prima delle tre parabole della misericordia del cap. 15 era descritta una pecora che se ne va dall'ovile: nel linguaggio dei profeti l'ovile è l'immagine di Israele, nel linguaggio di Gesù è l'immagine della Chiesa. Quindi la pecora che lascia l'ovile raffigura il credente che abbandona la Chiesa.
Nelly Bube, La pecora smarrita, la moneta smarritaAnche la parabola della dramma perduta raffigura un'analoga situazione. Non ci si riferisce però a qualcuno che pratichi un atto di apostasia vero e proprio; molto spesso, nel Nuovo Testamento, il peccato è presentato come atto di apostasia di tipo pratico, di qualcuno che pur continuando magari a frequentare regolarmente la chiesa, conduce un'esistenza che non è improntata all'eucaristia, ai valori del Vangelo, ma a valori umani, pagani. Il peccato, che è sempre un atto di apostasia, non è visto tanto come una trasgressione alla legge morale, quanto come rifiuto delle proposte del Vangelo, in particolare alla chiamata a costruire il Regno.

Dio ci chiama, ci propone di collaborare a costruire il Regno e noi, in pratica, non restiamo nella casa del Padre, perché non rispondiamo alla sua chiamata. Conosciamo in tal modo anche noi il dramma dell'apostasia: la privazione della gioia che solo il padre può donare, trasmettere.
Per il figlio minore la privazione è stata del cibo: «quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!». Vi è una carestia, si muore di fame come ancor oggi si muore in molti Paesi meno economicamente progrediti del nostro, ma al figlio minore non passa in mente nemmeno l'ombra del dubbio che la carestia possa aver colpito anche la casa del padre. Nella casa del padre vi è abbondanza, fuori si muore. Fuori dalla casa del Padre, per colpa del peccato, noi incontriamo il dolore, che si contrappone in modo evidente alla gioia del Padre, di questo Padre che è gioia.


Il tema penitenziale

Il figlio minore acquista consapevolezza della sua situazione, ritorna in se stesso, fa un esame di coscienza e si pente di ciò che ha fatto. Questo lo porta alla decisione di tornare alla casa del padre, un atto che è l'esatto contrario dell'apostasia del peccato. Il figlio intende tornare, ma è consapevole di ciò che ha fatto ed è pronto a subirne le conseguenze: «trattami come uno dei tuoi salariati».

Vi sono quindi questi tre momenti, la coscienza del peccato, il pentimento, l'accettazione delle conseguenze. Si vede che Luca sta seguendo un tema, quello penitenziale. Se osserviamo bene la parabola, ci accorgiamo che Luca lo sta trattando nei suoi vari aspetti, cioè: il peccato, il dramma del peccato, la sua consapevolezza, La peccatrice bacia i piedi di Gesù, Cappella 'La Casa di Simone Fariseo', S. Vivaldo, Montaione (FI)l'esame di coscienza, il pentimento, la domanda di perdono, il ritorno, che simboleggia la conversione e la riparazione del peccato.
Ritroviamo questo schema liturgico penitenziale, peraltro ben dissimulato da un racconto spigliato, vivace, ricco di particolari, in altre pagine di Luca, come in quelle dedicate alla peccatrice (capitolo 7) e al buon ladrone. Anche in questi episodi troviamo, più o meno palesi, i momenti essenziali della liturgia penitenziale: riconoscimento del peccato, pentimento, domanda di perdono, accolta senza alcun rimprovero, con amore.


Il tema della grazia

Il comportamento del padre, che rappresenta Dio, permette di sviluppare il tema della grazia in tutta la sua ricchezza. Vediamone alcuni aspetti.

In primo luogo vediamo rappresentata la grazia che dona: quando giunge suo figlio tutto lacero, il padre gli fa indossare una veste nuova, segno della dignità recuperata; è scalzo, e lui gli fa mettere i calzari, segno di libertà - sono gli uomini liberi che camminano con i calzari; gli pone l'anello al dito, che vuol dire signore nella sua casa. Ecco appunto la grazia come dono: gli ha ridato dignità, lo ha ricostituito libero, lo ha rinominato signore in casa sua.

Viene poi messo in luce come la grazia cerchi: il padre lo vede da lontano, perché lo stava aspettando, e commosso gli corre incontro. Del figlio non viene detto che si metta anche lui a correre alla volta del padre. L'iniziativa è del padre, è lui che si commuove, non il figlio, di cui si menziona la povertà e la fame. Ma la cosa non si ferma qui: l'immagine del padre, della sua bontà, della sua ricchezza, ha accompagnato il figlio minore nelle sue avversità, si è fatta luce dentro di lui, ed è questa immagine che lo convince a tornare a casa.

Vi è pure un'altra caratteristica della grazia, quella di annullare il peccato, senza farlo pesare. Sacerdote assolve una ragazza dopo la confessioneIl padre non muove alcun rimprovero al figlio, e questo è pure il comportamento abituale di Gesù nei riguardi di tutti i peccatori: la peccatrice del cap. 7, Zaccheo, il buon ladrone, e pure con Pietro, quando questi lo rinnega.
Il rimprovero non è necessario: Zaccheo distribuisce i suoi averi, la peccatrice scoppia in pianto, Pietro si commuove e si ravvede quando incontra lo sguardo di Gesù. Il padre della parabola non permette al figlio minore di terminare l'atto di dolore che si era preparato e aveva già in buona parte recitato, ma, tutto preso dalla sua gioia, nell'impeto della sua commozione, fa urgenza ai servi: «presto, portate...». E rifà di suo figlio un uomo nuovo.

Vi è infine la grazia come gioia di Dio: «mangiamo e facciamo festa». Vi è il banchetto, vi sono la musica e le danze, perché il padre vuole che la sua gioia coinvolga anche gli altri. «Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita». Queste parole richiamano il mistero della risurrezione: è il Padre che dà la vita, nella casa del Padre c'è la vita, entrare nella casa del Padre significa entrare nella vita, risorgere con Cristo.


La risposta dell'uomo

La parabola insiste sulla gioia del padre, che ordina la festa per far partecipi gli altri di questa sua gioia, che però non si ritrova in nessun altro. Non nel figlio maggiore, che anzi è immusonito, ma neppure nel figlio minore: la gioia è del padre.
Luca lo ha detto nelle due parabole precedenti: se un peccatore si converte vi è gioia in cielo. Se qualcuno si converte Dio è felice.

Ma l'uomo? La gioia è solo del padre e questa è un'idea un poco amara: non sempre la rinuncia al peccato è gioia per l'uomo. Se la grazia cerca, dona, annulla il peccato, gioisce, è perché Dio ama talmente l'uomo che non sa farne a meno. Al contrario, sembra che l'uomo possa fare a meno di Dio. Quando una sua creatura torna a lui, nel cuore di Dio esplode la gioia. Ma l'uomo cerca e trova la sua gioia nel rinunciare al peccato, nel sentire bisogno di Dio, nel capire che la sua esistenza non ha senso se non è diretta, in cammino verso Dio? L'uomo accoglie la gioia che Dio gli offre, o si accontenta della sua tristezza terrena?


Figli, non servi

Questa è certo una parabola positiva, perché mi dice che Dio mi cerca, ma non è ottimistica, in quanto suggerisce che io posso benissimo non accorgermi di lui, e vivere fuori della sua gioia.
Posso inoltre rimanere nella sua casa, non amandolo con cuore di figlio ma solo obbedendogli come un servo. Ritorniamo all'epilogo della parabola. Il figlio maggiore si pone alla stregua dei servi, non dei figli. Dice al padre: «io ti servo da tanti anni, non ho mai trasgredito al tuo comando, e tu non mi hai mai dato...».

Il figlio maggiore imposta il suo rapporto con il padre sullo stesso terreno dei servi: obbedire agli ordini, essere retribuito. E infatti non si rivolge al padre chiamandolo con quel nome, e non parla usando il termine fratello ma «questo tuo figlio». Al fratello non rimprovera di aver lasciato il padre, la sua casa, ma di aver dissipato i suoi averi.
Per essere figlio, e non servo, deve non solo obbedire agli ordini, ma capire ciò che al padre interessa, quel che lui può desiderare, quanto può fargli piacere. E soprattutto deve gioire della gioia del padre, accettare suo fratello come tale, invece di premurarsi di evidenziare gli sbagli che ha compiuto.

Gioco del labirinto per aiutare il figliol prodigo a trovare la strada di casaAnche noi, pur se riteniamo di non aver abbandonato la casa del Padre, dobbiamo chiederci se veramente siamo e vogliamo essere figli. Per essere tali, dobbiamo gioire con il Padre per ogni fratello ritrovato, dobbiamo anzi fare di tutto perché i fratelli tornino, cercandoli con amore fraterno, non con l'atteggiamento di superiorità del fratello maggiore. Atteggiamento che ricorda quello del fariseo nella parabola che lo confronta al pubblicano peccatore. Altrimenti il peccatore si troverà alla festa circondato dall'amore gioioso di Dio, ma noi rischiamo di stare fuori, soli con la nostra presunzione, con la nostra incapacità di amare.

a cura della redazione
Fonte: incontri con padre Mauro Laconi o.p. all'Arsenale della Pace

vedi il dossier:
In cammino con Luca

 

 
 

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok