Una storia da manuale

Pubblicato il 10-07-2023

di Rosita Di Peri

Il 14 marzo del 2023 il tasso di cambio della lira libanese con il dollaro ha raggiunto i minimi storici: in quel giorno per acquistare un dollaro sono servite 100.000 lire libanesi. Una cifra nemmeno immaginabile prima delle proteste del 2019 e degli avvenimenti catastrofici che si sono susseguiti in Libano negli ultimi anni: eventi che hanno ridotto fortemente il potere d’acquisto dei libanesi nonché l’approvvigionamento di materia prime.

Agli effetti di questa svalutazione si sono affiancati una serie di altre dinamiche regionali e internazionali: a livello regionale continua a pesare l’isolamento che il Paese vive, circondato da Israele e Siria: due Paesi con confini scomodi che non facilitano gli scambi commerciali; a livello internazionale lo scoppio della guerra in Ucraina ha avuto un impatto pesante sul rifornimento di grano: basti pensare non solo che il Libano è dipendente dalle importazioni per la maggior parte delle materie prime e dei prodotti manifatturieri ma che circa l’80% delle importazioni di grano arrivavano nel Paese proprio dall’Ucraina.
La distruzione dei silos nel corso dell’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto del 2020, ha letteralmente polverizzato le scorte di grano, scorte che non sono più state ricostituite.

Questa situazione generale che lega un’incertezza politica marcata (dal 31 ottobre 2022 il Libano è senza presidente della Repubblica) a una mancanza di risorse, ha delle pesanti ripercussioni sulla popolazione e sulla sua sopravvivenza quotidiana. Si tratta di una crisi trasversale che tocca ampie fasce della popolazione indipendentemente dell’appartenenza comunitaria. Questo dato è certamente interessante se si pensa che, storicamente, gli strati più poveri della popolazione libanese erano principalmente da ricercarsi in seno alla comunità sciita e, in parte, sunnita. La situazione odierna ha avuto un impatto a trecentosessanta gradi colpendo anche quella classe media, specialmente rappresentata da appartenenti alle comunità maronita e sunnita, che ha visto quasi azzerare il suo potere d’acquisto e liquefarsi i risparmi di una vita.

Secondo Human Rights Watch la maggioranza della popolazione in Libano non raggiunge adeguati livelli di sicurezza sociale ed economica.
Il tasso di povertà è aumentato vertiginosamente tanto che per più della metà della popolazione la sicurezza alimentare è a rischio. Le famiglie libanesi hanno estrema difficoltà ad arrivare alla fine del mese e l’accesso ai beni primari è difficile non soltanto per coloro che appartengono alle fasce di reddito più basse: il 26% delle famiglie a reddito medio-alto deve rinunciare alle spese meno necessarie per potersi garantire pasti adeguati. A causa della crisi i pochi sussidi statali che le famiglie riceve-vano, come quelli per la benzina e le medicine, sono stati cancellati aggravando situazioni già fortemente precarie.

Inoltre, i fondi di sostegno che provengono dalle istituzioni internazionali si rivolgono principalmente a quelle fasce della popolazione che si trovano in situazioni di estrema povertà lasciando da parte tutte quelle persone che, pure in una situazione di bisogno, non sono inseribili all’interno di queste categorie.
Una simile situazione si ripresenta anche a livello nazionale per quanto concerne il sistema di welfare: il National Social Security Fund libanese è pensato per le fasce della popolazione con un lavoro stabile e per gli strati più svantaggiati lasciando fuori tutti quei libanesi che hanno lavori precari e che si muovono nel mercato informale (secondo le stime dell’ILO più del 60% della popolazione nel 2022). La mancanza di assistenza da parte dello stato sotto forma di sussidi sociali, apre spesso il campo a un sostegno che arriva alle famiglie dai partiti politici confessionali e/o dalle grandi famiglie di zuama che ancora hanno un ruolo importante nella politica e nella società libanese. Questo si traduce nel rafforzamento di legami confessionali e/o comunitari e nel loro utilizzo da parte dell’élite per consolidare il proprio posizionamento politico e sociale.

Se, storicamente, il sistema di protezione sociale libanese ha sempre penalizzato una visione universalistica, dopo la fine della guerra civile (1975-1990) si è assistito a una riduzione sempre più marcata del ruolo dello stato. A ciò si è accompagnata una graduale rentierizzazione dell’economia libanese, sempre più dipendente dai capitali stranieri. Ciò ha avuto come effetto collaterale una sempre più massiccia concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi e l’allargamento della forbice tra ricchi e poveri.

In questo scenario ciò che impatta maggiormente sulle famiglie e sulla loro sopravvivenza è l’accesso al cibo.
La mancanza di risorse costringe spesso le famiglie a saltare alcuni pasti e le situazioni più critiche si presentano nelle famiglie monoreddito con presenza di persone anziane, disabili e bambini. Nelle famiglie a più basso reddito la situazione di crisi spesso si traduce nella presenza di lavoro minorile o in matrimoni precoci: soluzioni che tentano di alleviare il peso della ricerca di cibo all’interno dei nuclei familiari. Tale situazione porta a un forte indebitamento per l’acquisto dei generi alimentari che intrappola le famiglie in meccanismi di usura.
Secondo le proiezioni dell’indice che monitora la situazione di precarietà alimentare e malnutrizione nel mondo IPC (Integrated Food Security Phase Classification), nel 2022 il 37% della popolazione libanese e siriana presente nel Paese dei cedri ha sofferto di severa e acuta insicurezza alimentare. Questi dati fanno del Libano il sesto Paese al mondo con la peggiore crisi alimentare dopo il sud Sudan, lo Yemen, Haiti, l’Afghanistan e la Repubblica Centrale Africana.

La crisi economica che ha colpito il Libano ha spinto tre quarti della popolazione in uno stato di povertà acuendo le difficoltà di accesso ai servizi di base come l’elettricità (settore peraltro già fortemente compromesso prima della crisi) e la sanità (anche per via della diffusione della pandemia da Covid 19). Nell’ultimo anno sono ricomparsi in Libano alcuni casi di colera a testimonianza della situazione di precarietà e indigenza nella quale vivono ampie fasce della popolazione, libanesi e non.

La mancanza di un serio piano di riforme politiche ed economiche ha di fatto portato al congelamento dell’erogazione degli aiuti stanziati dagli organismi internazionali che si sono detti disposti a sostenere il Paese solo a fronte di un impegno tangibile e duraturo. Il malcontento è diffuso, la povertà dilagante, la classe politica evanescente, le istituzioni assenti. Una crisi dopo l’altra sembra toccare questo piccolo Paese del Mediterraneo in una spirale senza fine dove, al momento, un cambiamento di rotta sembra essere ancora lontano.

*Rosita Di Peri
NP aprile 2023

* Rosita Di Peri, professoressa associata presso il Dipartimento di Cultura, Politica e Società (Università di Torino), dove insegna “Politica, istituzioni e culture del Medio Oriente” e “Mashrek Politics and Institutions”.

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