Un passo diverso!

Pubblicato il 15-08-2012

di Rosanna Tabasso

di Rosanna Tabasso - Donare e ricevere. Due modi per vivere il tempo della fragilità. Una pagina della Regola della Fraternità del Sermig ha per titolo Il tempo della fragilità.

Ci ricorda come ognuno di noi è bene che si prepari ad affrontare nella sua vita il tempo della fragilità fisica, psicologica, spirituale; la prova della malattia e, con l’avanzare degli anni, la vecchiaia. Ci si prepara con la testa, certamente, ma molto di più stando vicino con umanità alle persone più prossime, quelle di casa nostra, quelle con cui lavoriamo, gli amici che vivono le prove della fragilità. Nessuno può essere abbandonato a se stesso o allontanato perché non più efficiente, non più utile, non più all’altezza della situazione.

Teniamo sempre aperto il cuore e l’intelligenza e cerchiamo modi adeguati di stare vicino a queste persone. Non è solo il fare qualcosa per loro – la spesa, la pulizia, una visita – è soprattutto il come fare: quell’atteggiamento interiore, quella sfumatura nella voce, quel modo di porsi che non fa percepire all’altro di essere un peso, non gli fa sentire la distanza, ma lo fa sentire persona accolta, valorizzata, amata. Non è commiserazione per chi soffre, è compassione del cuore, è patire con, immedesimarsi nella sofferenza dell’altro, compreso l’imbarazzo, la vergogna che prova chi non è autonomo o autosufficiente.

Chi nella sua vita ha sperimentato almeno una volta l’aver bisogno degli altri, sa quanto sia difficile farsi aiutare nelle necessità più personali e intime; aver bisogno dell’aiuto di qualcuno è infinitamente più difficile che aiutare. Restare passivi e ricevere l’aiuto è più difficile che essere protagonisti di un atto di generosità. Con il nostro efficientismo portiamo dentro di noi il tarlo dell’essere protagonisti. La vita non ci prepara all’arte di saper ricevere un dono, una mano, l’aiuto dell’altro, senza sentirci di peso o mortificati nell’orgoglio. La fragilità ci immette nella dimensione dell’umiltà, del non bastare a noi stessi, del ricevere tutto da Dio e dalle persone vicine a noi.

Stando vicino a chi soffre con l’attenzione di chi si fa allievo, di chi vuole imparare l’arte di farsi piccolo, si è contagiati da questo atteggiamento e si impara a prendere un passo diverso. Intanto si impara a non sentirsi indispensabili: chi ha capacità e responsabilità può sperimentare che tutto va avanti anche quando non è attivo, e che la sua attività è sempre e solo un mettersi a servizio, mai una posizione. Chi si avvicina ai più deboli, impara a guardare le cose stando fermo, impara che il tempo scorre più lentamente, che ogni piccola cosa – un fiore sul davanzale, una visita, una notizia – ha una risonanza enorme; impara che emozioni, pensieri, ricordi, parole, silenzi possono dilatarsi e scendere molto in profondità. Infine, frequentando chi vive il tempo della fragilità, si presta più attenzione ad ogni forma di sofferenza; la condizione di chi soffre diventa più famigliare ed è più immediato mettersi nei panni delle persone che si avvicinano. Il tempo della fragilità non si augura a nessuno, ma arriva per tutti. Occorre prepararci per affrontarlo serenamente, non come un tempo di non vita ma come il culmine di una vita ben spesa.

Foto: Alberto Ramella / sync

 

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