Tutto in un abbraccio

Pubblicato il 15-09-2023

di Rosanna Tabasso

Nella memoria di ognuno di noi si è impressa la data d’inizio dell’Arsenale della Pace, ma prima del desiderio di trasformare una fabbrica di armi, nel cuore di Ernesto e dei suoi amici c’era il desiderio di dare un volto al vangelo, di vivere fraternità e vicinanza ai poveri, speranza e pace. Sull’onda di questo desiderio, prima ancora dell’Arsenale della Pace, dentro il Sermig si è sviluppato il passaggio da gruppo a fraternità: le persone che ne facevano parte, hanno scelto non solo un fare qualcosa di buono insieme, ma di vivere un nuovo stile di vita per portare speranza alla gente.
Non si “nasce imparati” e ci sono voluti anni per entrare in questo nuovo modo di vedere noi stessi e l’altro. Si desidera, si crede, si cerca di modellare le nostre umanità ferite sulle promesse del vangelo, ma ci vuole tempo per cambiare lo sguardo e soprattutto ci vuole il tocco dello Spirito Santo. La fraternità è una nuova creazione ed è lui che la opera: «Ecco, faccio una cosa nuova» (Is 43, 19).

IL RUOLO DELLO SPIRITO
Lo Spirito opera questa trasformazione in chi segue Gesù, proprio come ha fatto con i suoi discepoli riuniti nel cenacolo: quei pochi, smarriti, impauriti non avevano chiara la direzione da prendere, ma ricevono lo Spirito Santo che Gesù dà loro in dono, lo riconoscono Risorto in mezzo a loro e la loro vita cambia radicalmente. In quel momento la comunità riconosce nei segni di Gesù crocifisso, il Risorto e crede. Da lì in poi è sempre la fraternità che rende riconoscibile Gesù, è il luogo dove si passa dalla mentalità del mondo a quella del vangelo, è il luogo dove avviene la trasmissione della fede da una persona all’altra, da una generazione all’altra. Non si arriva da soli alla fede, ma attraverso la comunità, nella chiesa. È così anche oggi.
La Fraternità della Speranza che ora vive in tanti altri luoghi, pur con le sue imperfezioni, permette a tanti che l’avvicinano di riconoscere Gesù.
Ci sono voluti anni perché prendessimo la forma che il Signore voleva darci: ognuno con la propria storia, le proprie fatiche, diversi per età, stato di vita, viviamo la diversità come una ricchezza, cerchiamo unità e concordia per rendere visibile il vangelo in questo tempo.
Oltre ogni diversità, semplicemente cristiani. Viviamo il quotidiano e dall’esperienza distilliamo continuamente l’essenziale che cerchiamo di vivere: lasciarsi amare da Dio e, riconoscendoci amati da lui, amarlo con tutto il cuore, per poi amare i fratelli e le sorelle che ci sono posti accanto. Non un amore generico ma incarnato e vissuto anzitutto con le persone con cui viviamo. Significa accettare l’altro diverso da me, rispettare, valorizzare ognuno. Cercare il dialogo e il confronto, perdonare chi sbaglia, chi ci offende, chi ci ferisce. La Fraternità vive queste dimensioni evangeliche e, come in un laboratorio, le sperimenta. Nella nostra esperienza la fatica più grande non è stata ristrutturare l’Arsenale, ma ristrutturare le nostre vite per far spazio a Dio e diventare fraternità. Se non viviamo noi questo stile, come possiamo proporlo ad altri? Non si tratta di essere perfetti ma credibili, non super eroi ma persone appassionate.

DIFFUSI MA INSIEME
Nella Fraternità sperimentiamo lo stile scelto da Gesù per farsi conoscere: a due a due, senza sicurezze umane, casa per casa portando la pace ma senza pretese, senza pianificazioni, ma con lo spirito di accogliere tutti, a uno a uno.
Abbiamo capito che la missione che Gesù ci affida non è dei singoli, è affidata a tutti e si vive insieme. Ci si disperde tra la gente, non da soli ma a piccoli gruppi, perché il cuore di ogni missione secondo Gesù è «guardate come si vogliono bene» ed è questa testimonianza che fa bene a chi ci avvicina. Così le braccia si allungano e si allargano ad abbracciare quanta più gente possibile e anche le porte delle nostre case diventano mobili, si spalancano continuamente sulla strada e si spostano oltre.
Da molti anni l’Arsenale della Pace si è diffuso nel territorio circostante: un condominio solidale, l’emporio, il palazzetto dello sport, le parrocchie e più lontano ancora il Villaggio Globale… L’immagine che mi porto dentro è la festa di fine anno dei bambini e dei ragazzi dell’Arsenale della Piazza e dello Sport e delle loro famiglie: italiani, marocchini, rumeni, cinesi, africani, asiatici di almeno 25 provenienze, oltre 500 persone riunite insieme negli spazi del PalaSermig per vivere una giornata insieme (box nella pagina precedente). Un grande tavolo ricoperto di piatti di provenienze diverse, il piatto speciale di ogni Paese, preparato con cura per essere condiviso tra tutti, il gioco, la festa, l’amicizia, il rispetto reciproco.

IL BENE RIPARTE
Attorno a due o tre di noi, lo spirito della fraternità è passato alla gente più diversa anche per provenienza, cultura, religione perché tutti hanno bisogno di un aiuto per tirar fuori il bene che hanno dentro! Gesù non ha fatto proselitismo, ma a chi lo voleva conoscere ha detto: «Vieni e vedi» (Gv 1, 46). Dopo di lui, la gente la più diversa lo può vedere nella fraternità vissuta da pochi riuniti nel suo nome, da pochi che nel suo nome vanno tra la gente, da pochi che credono che lo Spirito Santo si serve di loro per contagiare di bene le persone più lontane, i luoghi abbandonati, il tessuto sociale e così via. La fraternità vissuta umilmente, con amore creativo, è diffusiva, fa ripartire il bene, fa avanzare la fraternità universale che poi è il regno di Dio in mezzo a noi.
 

Rosanna Tabasso
SPECIALE: Un Arsenale che parla
NP giugno / luglio 2023

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