Quello che conta

Pubblicato il 31-10-2013

di Redazione Sermig

Gigi Buffon ospite dell’Università del Dialogo del Sermig. Le cose importanti nel calcio e nella vita.

Non so con esattezza quando è nata la mia passione. So solo che sto vivendo qualcosa che ho sognato da sempre”. Gigi Buffon torna così alle radici della sua esperienza, delle sue motivazioni: il calcio che si fa strada, che emoziona quel bambino nato a Massa Carrara, in Toscana, che accompagna poi un giovane attraverso i successi e le soddisfazioni di una carriera unica. Il successo con le sue luci e le sue ombre, il cammino di crescita che riguarda tutti, il senso di responsabilità da coltivare anche imparando dagli errori. Il portiere della nazionale e della Juventus ne ha parlato con i giovani e gli adulti dell’Università del Dialogo del Sermig: un incontro a tutto campo per ripercorrere la vita pubblica e privata di un giovane campione. Ecco alcuni passaggi del dialogo.

LA FAMIGLIA

La mia famiglia è stata fondamentale. Ho avuto due genitori che hanno gareggiato in nazionale di atletica e due sorelle che prima di me hanno giocato nella nazionale di pallavolo. Io ero il più piccolo e per un certo periodo mi ritenevo anche il brutto anatroccolo perché ero l’unico a non aver ancora sfondato. Quando è successo sono stati loro a darmi il giusto equilibrio, con le parole, i consigli, l’esempio. Penso soprattutto a mio padre, un uomo particolare. Credo che in 18 anni di carriera, anche di fronte alle mie prestazioni migliori, non sia mai andato oltre un semplice: “Bravo, oggi mi sei piaciuto”. Questo approccio mi è sempre servito, perché non ho mai tollerato i picchi di esaltazione né da parte mia, né da parte di quelli che mi stanno vicino. Alla fine, quando sei abituato a giocare a livelli alti hai bisogno solo di equilibrio, non di persone che ti destabilizzano con eccessi nel bene o nel male.

I RISCHI DEL SUCCESSO

Il successo è ubriacante e lo sarà per sempre, lo sarà per tutti. Lo è stato anche per me soprattutto quando ero ragazzo. A 18 o 19 anni, la fama ti stravolge la vita, perché da un giorno all’altro non hai più una privacy, sei un personaggio noto che non può più farsi gli affari propri. È tutto molto complicato. Nel mio caso, ci sono stati momenti in cui mi sono fatto prendere da questa euforia, da questa esaltazione. Forse è anche giusto, perché quando sei molto giovane non puoi avere la maturità per gestire le cose nel modo migliore. Ho fatto i miei errori e col senno di poi sono contento perché ho imparato anche da quelli. Sbagliare è umano anche per uno come me, ma quello che conta è cercare di vedere in un errore, un’occasione per cambiare, per imparare qualcosa.

IL METODO

All’inizio della carriera, la cavalcata è entusiasmante: sei un ragazzo che ha di fronte solo novità e che sta finalmente coronando il suo sogno. Una volta raggiunto l’obiettivo, però, pensi subito a quelli successivi: magari vuoi essere il numero uno, vuoi diventare il portiere della nazionale, vuoi essere il più forte e via dicendo. Tutti questi traguardi ti danno una spinta notevole per scendere in campo, per affrontare con entusiasmo il tuo lavoro. Il passaggio delicato è quando realizzi anche tutti questi sogni. A un certo punto, intorno ai 20 anni, mi sono detto: “Bene, in poco tempo hai esordito in serie A, sei diventato portiere della nazionale, hai vinto coppa UEFA, coppa Italia, Supercoppa. E adesso?”. Capisci all’improvviso che rimanere ad alti livelli è difficile e che le motivazioni iniziali non bastano più. A quel punto, subentra il ragionamento, l’equilibrio che hai coltivato negli anni, l’obiettivo più profondo che ti sei prefissato. Per me è stata la cura dei dettagli, di ogni minimo particolare, la responsabilità che ti permette di non abdicare, di rimanere sempre al tuo posto. Per farlo, servono umiltà, intelligenza per capirlo e tanto sacrificio. La tentazione più grande quando hai successo è sentirti già appagato. È l’errore da non fare, la prima condizione per interrompere una carriera.

CALCIO E SOCIETÀ

Il calcio e i calciatori sono lo specchio della società. In una squadra, trovi di tutto: il bello e il brutto, l’intelligente e lo stupido, l’onesto e il disonesto. In fondo, in una squadra non vieni scelto per le tue qualità morali, ma per quelle tecniche. Detto questo, la cosa più bella del calcio è che dà la possibilità di riscatto anche a chi ha avuto un’infanzia difficilissima. È uno strumento educativo forte, realmente potente. Sono consapevole della presa che noi giocatori abbiamo su milioni di persone e di bambini. C’è però un errore da evitare. Pensare che spetti a dei calciatori il compito di educare. Noi dovremmo essere valutati per prima cosa per le prestazioni tecniche. È sbagliato che un genitore si aspetti da Buffon una funzione educativa per il proprio figlio. Se il figlio è mio, me lo educo io. Certo, se Buffon farà qualcosa di sbagliato è giusto che ne risponda e che venga stigmatizzato, però quando si parla dei bambini e della loro educazione, ognuno deve assumersi le sue responsabilità, a cominciare dalle famiglie. Intendiamoci, io continuerò a dare messaggi positivi, a cercare di essere un esempio per chi mi segue, sapendo però che la prima responsabilità educativa non è mia, ma di altri.

LA PACE NEL MIO LAVORO

Portare pace forse non è l’espressione giusta. Quando sei in un ambiente sportivo e di competizione, è più giusto parlare di sintonia, di amalgama, di rispetto. Se vivessimo davvero questi tre aspetti, il calcio sarebbe proiettato in una dimensione di pace. La cosa più importante è sicuramente il rispetto, nei confronti di un compagno, della scelta di un allenatore, di un tuo vicino di casa. Poi, il dialogo, il non pensare di avere sempre ragione, perché alcune volte anche gli altri ce l’hanno, il sapersi mettere in discussione. In più, il non giudicare, una virtù che hanno in pochi. Dovremmo imparare tutti a metterci nei panni degli altri. Solo così smetti di reagire di impulso e riesci a capire di più il mondo.

COSA HO IMPARATO

Nella mia esperienza ho raccolto tanti insegnamenti. Il più importante è essermi reso conto che non sarei niente senza i tifosi, senza le persone che ti seguono, la gente. Questo ti aiuta a tenere i piedi per terra. Capisci che se sei diventato o credi di essere una persona importante, una celebrità, in fondo il merito non è solo tuo, ma di chi ti ha apprezzato.

In evidenza - rubrica di NP

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