Quando mi accorgerò che valgo

Pubblicato il 04-07-2022

di Mattia Cignolo

I giovani sono i più poveri. A dirlo è un gruppo che nasce con la vocazione di lavorare per abbattere la fame nel mondo. 1964: un gruppo di ragazzi che nel cuore aveva fatto entrare storie di bambini denutriti, completamente inermi e abbandonati al loro destino, fonda il Sermig. Da molti anni ormai, quello stesso gruppo, pur continuando a soccorrere chi soffre e muore per la mancanza delle risorse primarie, si ritrova a sperimentare che i più poveri davvero sono i giovani. In Italia ed Europa prima di tutto. Ma di che povertà di tratta? E soprattutto, come possiamo combatterla? Non si tratta "semplicemente" di dare un pasto a un affamato o un bicchiere d'acqua a un assetato. Si tratta di risvegliare la consapevolezza che vivere ha senso e per vivere occorre nutrirsi... Non solo di cibo, ma di qualcosa di più profondo.

Mi viene in mente un ragazzino di 14 anni. Una storia difficile di adozione e ribellione. Era approdato all'Arsenale perché sospeso dalla scuola.
Frequentava un liceo di Torino. Gli insegnanti l'avevano "spedito" da noi perché non sapevano più come prenderlo.
Lui non riusciva a comunicare col mondo se non con provocazioni continue e rompendo ogni regola, per principio. Insostenibile per la scuola. Soprattutto per quella scuola.
Frequentata da famiglie della Torino bene, con i figli perfetti... in copertina, ma appena un millimetro sotto lo straterello di perbenismo appiccicato, che ti fa illudere di essere migliore, uguali a tutti gli altri.

Doveva passare con noi alcune giornate anziché frequentare le lezioni. Dopo i primi momenti di imbarazzo capisce che l'Arsenale non è un carcere punitivo, ma un posto bello, e che io, pur non conoscendolo ancora, già gli voglio bene. Scatta la scintilla e si crea una relazione, un dialogo. Fatto anche di sfide e provocazioni, ma comunque un dialogo.
Io non ho una preparazione specifica che mi fa incasellare Michele nella categoria A, B o C, ma sicuramente riesco a dribblare i muri che frappone tra me e lui e, a sprazzi, entrarci in comunicazione profonda, oserei dire cuore a cuore. In uno di quei momenti lui cambia espressione e con un punto interrogativo stampato in faccia, mi guarda negli occhi e mi dice: «Smettila di dirmi che le canne mi fanno male! Lo so benissimo che mi fanno male! Lo sento su di me che mi fanno male! Il punto non è questo!» E io, a mia volta con un punto interrogativo nella testa, lo guardo e gli rispondo: «E quale sarebbe questo punto?».

«Il punto è che a me, che mi faccia male non me ne frega niente. Non capisco perché, ma non me ne frega nulla!». In quel momento la sfida, la strafottenza, erano svanite. Davvero si stava chiedendo come fosse possibile che non gli interessasse star bene. Anzi, quasi che trovasse sollievo nel farsi del male. Un mondo mi si è aperto davanti. Un mondo complesso, pieno di sfaccettature, ma con un denominatore comune. Il non percepire il proprio valore, non riuscire ad amare se stessi e non riuscire a relazionarsi con l'altro. Tutto questo invischiato in un una solitudine esistenziale che tutto blocca e tutto rende faticoso. In quella palude che ti inghiotte e che nessuno vuol vedere, qualsiasi cosa, anche la peggiore, addirittura il dolore, diventa meglio del nulla, e quindi in un modo assurdo, addirittura un bene.
Michele purtroppo è ancora nella palude. Oggi più di prima. Le canne sono diventate cocaina e crack. La rete di adulti intorno a lui dopo tanti tentativi ne sta provando altri. Ostinatamente. Continuando a credere che nessuno sia perso. Mai!

Nel corso degli anni ho conosciuto tanti Michele. Lui è un caso estremo forse, ma ci insegna qualcosa di molto diffuso che caratterizza in misura diversa tantissimi giovani a macchia d’olio. Giovani che si sentono insicuri, preda dell’ansia a ogni imprevisto, con autostima bassissima, con sofferenze legate alle loro vicende familiari che li hanno fiaccati e chiusi in loro stessi. Così chiusi da isolarsi e da non riuscire a fare venire fuori quel che sono veramente.
In misura diversa l'uno dall'altro i ragazzi del 2022 sono soli, immersi in un malessere esistenziale a cui loro stessi non sanno dare un nome. La cura la trovano in ciò che attutisce ansie e dolori sul momento ma che ti svuota ancora di più nel corso del tempo. In quasi ogni classe ci sono ragazzi che si fanno del male con l'autolesionismo, che hanno disturbi alimentari, che si isolano dal mondo chiudendosi in quello virtuale o che si lasciano passare sopra ogni cosa con disinteresse e apparente egoismo, rifugiandosi in un'apatia surreale.

Quindi cosa possiamo fare? Cosa stanno chiedendo i ragazzi agli adulti di oggi? Ci stanno chiedendo di fargli capire nei fatti perché li abbiamo messi al mondo. Perché vale la pena faticare, fare sacrifici. In fondo senza saperlo ci chiedono di fargli vedere nei fatti in cosa crediamo... Perché anche loro possano aggrapparsi.
Certo è finita l'era delle prediche e dei divieti. È l'era in cui l'unica arma che abbiamo è il convincimento e per convincere almeno qualcuno bisogna essere credibili. L'amore credibile costante che diventa una lotta corpo a corpo immersi nel fango della vita è l'unica terapia che può aiutare alcuni di loro a trovare un po' di senso nella vita.

Noi adulti siamo pronti? Ci siamo resi conto che i nostri figli in fondo ci stanno chiedendo solo di essere adulti fino in fondo? Forse i giovani con le loro provocazioni possono aiutare noi adulti a fare quello scatto che davvero migliorerebbe la nostra società, per tutti.


Mattia Cignolo
NP marzo 2022

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