Oltre il grande confine

Pubblicato il 06-10-2011

di laura e giancarlo

 

Cosa c’è oltre la vita? È un interrogativo aperto per tutte le culture e religioni, per credenti e non credenti. Efrem il Siro (IV sec. d.C.) ha raccolto le risposte dell’uomo antico.

di Ignazio De Francesco

 

“Là non si lavora poiché là non si ha fame. Là non si prova vergogna poiché là non si pecca. Là non si prova rimorso poiché là non ci si pente più. Là non si invecchia poiché là non si muore. Là non si viene sepolti poiché là non si nasce” (Sul paradiso 7,22).

Paradiso, casa comune. Il Grande Confine non è quello tra gli Stati e i blocchi economici. Il vero confine è quello posto al limite della vita presente, rispetto al quale tutti viviamo in una medesima casa comune. Così pure, oltre il Grande Confine c’è una casa comune, la terra senza confine.

Oltre il visibile si spinge solo l’occhio della fede: il credente esercita un servizio di speranza anche per il non credente, e il non credente lo educa a una fede umile, ogni giorno riconquistata. Ma anche questo sguardo oltre il visibile, oltre il Grande Confine, è uno sguardo comune, percorrendo trasversalmente culture e religioni, dai tempi più remoti. Una verità semplice, della quale ho dovuto prendere atto lavorando per riportare alla luce gli inni “Sul paradiso” di Efrem il Siro, offerti oggi dalla collana delle “Letture cristiane del primo millennio”.
Efrem è vissuto nel IV secolo in Mesopotamia, culla di civiltà. Diacono della sua chiesa, ha dedicato grande impegno alla liturgia, componendo inni nei quali teologia ed esegesi biblica sono trasmesse dalla poesia, scritta in siriaco, un dialetto dell’aramaico (la lingua parlata da Gesù). È considerato uno dei più grandi poeti cristiani, amato e imitato in tutte le tradizioni ecclesiastiche. Nel 1920 Benedetto XV lo ha proclamato Dottore della Chiesa cattolica.
Gli inni “Sul Paradiso” rappresentano un pezzo unico del suo genio, un’opera ponte tra le culture e le tradizioni religiose. Vi si dipana la speranza dell’uomo antico, che gradualmente si eleva oltre l’orizzonte del visibile verso uno spazio nuovo di pienezza. Efrem descrive il paradiso come giardino posto sulla cima di un monte altissimo; al tempo stesso ci sorprende paragonandolo all’alone di luce che circonda la luna piena. In questo stesso modo, infatti, dice che il paradiso circonda la terra, ne è la corona.
Il paradiso è quindi una realtà non del tutto “altra”. Anzi, Efrem afferma che ciò che di bello noi viviamo e gustiamo su questa terra non è che un riflesso attenuato delle gioie del paradiso, come sole che filtra tra le persiane di una stanza nella penombra.
La vita del paradiso è descritta da Efrem come vita agreste, tra alberi che fanno a gara per accogliere tra le proprie fronde i beati, abbassandole per comporre una comoda scaletta davanti a loro, e lassù un banchetto tra i frutti, camerieri i venti! Immagini sensibili, che percorrono la storia della spiritualità umana da Gilgamesh, eroe mitico babilonese, ai rabbini ebrei di Palestina, ai teologi musulmani. Queste immagini non sono però che una pedagogia per condurre chi ascolta a scoprire che il vertice della beatitudine sarà godere del “pascolo delle visioni divine”, poiché “torrenti di soavità fluiscono dallo splendore del Padre, mediante il suo Primogenito” (inno 9,24).

La sfida lanciata da Efrem potrebbe allora essere duplice: intanto provare a ridar musica a qualcuno di questi antichi inni, ponte tra mondi. E poi, giacché il paradiso è “la pace che tutti riconcilia” (inno 11,3), perché non convocare un giorno i popoli e le culture affinché ciascuno possa raccontare ciò che vede oltre il Grande Confine, nella casa comune? È là infatti la vera sede delle Nazioni Unite.

Ignazio De Francesco
da Nuovo Progetto giugno/luglio 2006

 

 

 

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