Nel bene e nel male

Pubblicato il 13-08-2023

di Redazione Sermig

La sua analisi parte dalle parole di Gesù su guerre, terremoti e calamità: segni dei tempi associati per secoli alla fine del mondo. Per lei, rivelano piuttosto il fine del mondo. In che senso?
È la parola stessa che ce lo dice.
"Apocalisse" in greco significa proprio "rivelazione" Non è il calendario della fine del mondo, piuttosto il disvelamento del senso della storia. A maggior ragione oggi in mezzo alle pandemie, alla minaccia nucleare, al cambiamento climatico. Che significato hanno quelle parole? Se cerchiamo nel vangelo qualcosa che ci può aiutare a capire il senso, scopriremo che le frasi di Gesù non vogliono mandare messaggi di disperazione e tristezza, ma speranza e luce per orientarsi nel cammino della vita.

Come si concilia tutto questo con la presenza del male nella storia?
Nel passato c’erano due tendenze: considerare la storia come un progresso indefinito verso il bene oppure come una decadenza. Gesù le rifiuta entrambe. Il vangelo ci dice che il messaggio di amore di Dio può essere accolto e dare quindi frutto, oppure può essere rifiutato e portare quindi violenza. Gesù ha vissuto queste due dimensioni contraddittorie insieme, è stato messo in croce per il suo messaggio d’amore. La storia dei singoli e del mondo sta tutta nell’accettare o meno l’amore di Dio.
Sono due direzioni contrapposte che non possono venire meno. La libertà dà all’uomo la possibilità dell’accettazione e del rifiuto.

Perché il male continua a prevalere e il bene a essere rifiutato?
Non sono sicuro che il male prevalga.
Personalmente ho sempre incontrato persone che hanno fatto il male con l’intenzione paradossale di fare bene.
Detto questo, dovremmo andare oltre una certa visione infantile del peccato.
Spesso noi cristiani pensiamo sia meglio evitare di far del male per paura del castigo di Dio, dell’inferno, ma la fede cristiana ci dice un’altra cosa: che se Dio ci vieta di far qualcosa, è perché quel qualcosa ci fa male, ci distrugge.
Faccio un esempio. Il cambiamento climatico e la minaccia nucleare sono il risultato del moto interiore dell’uomo che desidera dominare a tutti i costi, possedere e consumare oltre i propri bisogni. Questo è peccato. È un male che danneggia il mondo, non è banale. Alla radice c’è il rifiuto dell’essere amati. Anche i sacerdoti ricordano sempre la fatica di amare, ma ricordano poco l’importanza e la fatica di riconoscerci amati e stimati. Quanto è faticoso accettare di essere amati! Che qualcuno – non soltanto Dio – posi su di noi uno sguardo di stima e di amore. È destabilizzante accettare di essere amati, innanzitutto a causa della paura. Quante volte diciamo: «Non è possibile che quello mi ami, ami me che non sono amabile». Questo rifiuto provoca davvero violenza, rabbia, sfiducia e volontà di dominio.

Come si fa a leggere la storia e i segni dei tempi con lo sguardo giusto?
Credo che dobbiamo leggere la Parola di Dio sul serio, accettando che il Vangelo ci metta in discussione e ci spiazzi. Accettiamo le difficoltà, non accontentiamoci dell’ovvio! Dio ci ha dato un cervello per non accontentarci delle cose ovvie, evidenti; il vangelo allora ci rende attenti alle cose che di solito non vediamo. Questo vale soprattutto rispetto all’amore che può essere intravisto solo nelle persone. Non è “instagrammabile”, è qualcosa che richiede attenzione da parte nostra. Proprio per questo i segni dei tempi non sono spettacolari se non a livello personale quando accettiamo di aprire gli occhi su delle realtà che sembrano umili. Io credo che questi segni assomiglino al Signore e hanno a che fare sempre con cose umili.

L’incontro con gli altri è una sfida centrale. Lei vive da tanti anni al Cairo. Qual è lo stile migliore per dialogare?
Bisogna accettare di essere diversi. È veramente difficile perché abbiamo sempre la convinzione che gli altri la pensino esattamente come noi. Ma fino a quando non accetto l’alterità, il dialogo non esiste. Molto meglio non partire dalle somiglianze, ma capire perché siamo diversi. In nome di buoni sentimenti, rischiamo di portare l’altro sulle nostre posizioni, ma è un errore. Sono convinto davvero che la sfida della pace non sia dimostrare che siamo tutti uguali, ma accettare il fatto che siamo tutti diversi. Non è un dramma, perché possiamo trovare insieme modi di dialogo, un linguaggio comune. A volte si crede che una certa parola abbia un significato uguale per tutti, ma non è così. In secondo luogo, per avere un dialogo vero, serve un’autentica amicizia personale, fondata sulla fiducia reciproca.
È possibile dunque il dialogo con l’islam? No, perché l’islam non è una persona.
Al contrario, è possibile il dialogo con i musulmani. Tra persone si può dialogare in spirito di amicizia. Il dialogo mette a nudo e mostra la propria debolezza che solo un amico può custodire e accogliere.

In concreto come ci si arriva?
Il dialogo vero e proprio è quello di due esseri umani che parlano di Dio e che accettano nel tempo di condividere le loro risposte, ma anche lo loro domande, le loro debolezze. Perché se io dico: nella mia vita credo in Gesù Cristo e accetto di dirti perché, e ti spiego le motivazioni di questa mia fede, non te la impongo.
Faccio questo anche se mi espongo, dicendoti le mie ragioni di credere; corro il pericolo che tu mi possa attaccare ridicolizzando la mia fede.
Questo è il rischio del dialogo vero, che si crea quando nell’amicizia io ripongo fiducia in te, credendo che tu non userai la mia debolezza per dimostrare che la mia fede è falsa e quindi distruggerla.

Oggi è complesso anche il dialogo tra cristiani. Cosa dire di fronte al patriarca russo ortodosso che ha benedetto la guerra in Ucraina?
Nella storie ci sono state guerre di religione e guerre che hanno usato la religione. La guerra in Ucraina rientra nella seconda categoria. Purtroppo, nel mondo russo c’è una vecchia tradizione di strumentalizzazione della chiesa da parte del potere politico.
L’episodio a cui fa riferimento testimonia un’accettazione di questa logica. Possiamo rimproverare e sanzionare chi ne è stato protagonista, ma dobbiamo stare sempre attenti a non cadere nello stesso rischio, quello di confondere le nostre posizioni politiche – anche buone, anche intelligenti – con la fede. Se facciamo così, chiudiamo le porte all’amore e al bene. I cristiani devono essere per il Regno di Dio. Non dobbiamo arrenderci e continuare a dialogare nonostante tutto. L’alternativa è altra guerra. Detto questo, rimane tuttavia una cosa importante, ovvero il dialogo tra i credenti che per fortuna non viene vietato del tutto da queste vicende politiche.

Prima di diventare frate, era un giovane impegnato in politica. Cosa la affascinava di quel mondo? In cosa deve cambiare oggi la politica per favorire il bene tra le persone e il bene comune?
Per me la politica è sempre stata un modo concreto per aiutare le persone e credo che possa essere una delle più ampie espressioni dell’amore. Se non ti occupi della politica, la politica alla fine si occuperà di te. La politica è importante, può fare buone leggi, ma non basta. Tutto parte dal cuore dell’uomo. Non valgono i discorsi in cui si dice che la politica non serve a nulla o può fare tutto. Non ho lasciato la politica perché è diabolica, ma perché stavo meglio parlando di Dio.
Per me è un’occasione di santità. Al liceo ho capito che la gente mi ascoltava e mi dava fiducia. Ho capito che potevo usare questo dono per essere tramite tra Gesù e le persone.

Tornando alla lotta tra bene e male, nel Vangelo ricorre più volte l’invito di Gesù a vigilare. Cosa significa in concreto?
Il tema della vigilanza oggi è fondamentale, soprattutto in un tempo di smartphone e social. La nostra attenzione è un campo di battaglia perché tutto il mondo se la contende.
Vegliare è capire cosa fare della nostra attenzione. Cosa guardo? Cosa faccio entrare nel mio cuore? Questo è l’inizio della vita spirituale.
Non orientare la mia attenzione a chi urla, ma a ciò che vivono gli altri. Per me contemplare Dio è vedere la sua grazia all’opera nella vita delle persone.
Per me questo significa amare il prossimo. Non ho il compito di portare Dio nelle persone, perché Lui è già presente. Posso aiutare gli altri, mettendomi a servizio del dialogo tra Dio e il mondo. È una cosa diversa.
La sfida è fare spazio all’altro, rispettandolo pienamente. Un esercizio quotidiano di vigilanza è chiedersi ogni sera dove abbiamo visto salvezza nella vita nostra e in quella delle persone che incontriamo.
 

A cura della redazione
FOCUS
NP maggio 2023

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