La RAI va in AFRICA

Pubblicato il 31-08-2009

di Aldo Maria Valli


In molti abbiamo assistito al servizio televisivo di Ezio Nucci sulla morte di suor Leonella in Somalia. Si trattava del primo (purtroppo triste) exploit della nuova sede che la RAI ha deciso di aprire in Africa, intitolata a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i giornalisti del Tg3 uccisi in Somalia. Un scelta coraggiosa e profetica. Oggi, 4 ottobre 2006, festa di San Francesco, l’inaugurazione ufficiale.

di Aldo Maria Valli

Qualcuno forse ricorderà la storia della balenottera che si era persa nel Tamigi e navigava verso l’interno della Gran Bretagna. Era gennaio, la povera balenottera aveva chiaramente qualche problema, altrimenti non si sarebbe mai infilata nel Tamigi, e quando arrivò a Londra le televisioni si scatenarono. Schiere di cameraman e cronisti si riversarono sui ponti e sulle rive lungo il fiume per documentare la vicenda, qualche emittente allestì addirittura collegamenti in diretta e le grandi agenzie di stampa, che inviano le loro immagini alle principali televisioni del mondo, assicurarono una copertura totale dell’avvenimento, con tanto di interviste a zoologi ed esperti vari e testimonianze dei volontari prontamente scesi in acqua per cercare di convincere la balenottera, soprannominata Willy, a invertire la rotta.

Quel giorno, nel mio ufficio di responsabile della redazione esteri del Tg3, assistevo alle peripezie di Willy e mi sentivo molto a disagio. Non tanto per la povera balenottera che stava sicuramente soffrendo ed era fatalmente destinata a una brutta fine, ma per noi, noi cosiddetti operatori dell’informazione, che ci eravamo scatenati puntando tutti i nostri obiettivi sul Tamigi. Perché disagio? Perché mentre guardavo la povera Willy non potevo fare a meno di pensare a tutti i bambini poveri del mondo, che in chissà quanti poveri villaggi del pianeta o in chissà quante povere bidonville, stavano soffrendo e morendo di fame senza che nessunissima telecamera di nessunissima emittente televisiva fosse lì a documentare quella vera tragedia, quel vero dramma, quell’autentico scandalo che è la sofferenza e la morte di un bambino a causa della miseria.

Perché Willy sì e il bambino no? Attorno a questa domanda ruota il grande problema dell’informazione oggi. La storia della balenottera ha in sé caratteristiche tali che la rendono emblematica degli squilibri e della sostanziale ingiustizia che caratterizza quello che continuiamo a definire il “villaggio globale” ma in realtà è globale solo per alcuni e non per altri, perché grandi fette del pianeta e milioni di persone sono tuttora escluse dai circuiti dell’informazione.

PROGETTO AFRO
È stato presentato in Campidoglio, a Roma, il 2 ottobre scorso il “Progetto Afro”: si tratta della prima agenzia di stampa dedicata al Continente nero. Frutto dell’esperienza e della sensibilità congiunta del Sindaco di Roma, Walter Veltroni, della Società Editoriale Vita (editrice della rivista “Vita”), dell’ex segretario Cisl Savino Pezzotta, nonché dell’Unicredit, l’agenzia on-line avrà sede a Roma e conterà su una decina di redattori – la metà africani – oltre che su ca. 40 collaboratori dall’Africa.
Il progetto prevede anche un centro di formazione per giornalisti africani ed il sostegno di scambi culturali tra Italia ed Africa. Dovrebbe essere operativo da aprile 2007.
Willy visse il suo piccolo dramma acquatico a Londra, che è una delle grandi capitali dell’informazione, sede delle principali testate e agenzie di stampa internazionali. Le troupe televisive ebbero quindi buon gioco a riversarsi lungo il Tamigi per coprire l’avvenimento. Ma così avviene ogni giorno, per decine di avvenimenti. Si tratti di Londra o di New York, di Parigi o di Tokyo, se un fatto succede qui, nel mondo industriale sviluppato, ce ne accorgiamo e lo trasformiamo in comunicazione, ma se avviene laggiù, nella parte povera e trascurata del pianeta, quella non illuminata dai nostri riflettori, semplicemente non esiste. Così a una balenottera malata possono essere dedicate in pochi giorni più ore di trasmissione di quante ne vengono dedicate alla fame in Africa nel corso di un anno intero.

Ora voi mi chiederete: visto che la diagnosi è chiara, perché la situazione continua a essere questa, perché in Africa o in America latina o comunque nelle parti più povere e più trascurate del presunto “villaggio globale” non c’è un riflettore che illumini né una telecamera che riprenda? La riposta è complessa. Riguarda l’economia, la politica, la sensibilità sociale. Se un’agenzia di stampa deve aprire una sede ritiene molto più conveniente aprirla qui, nella parte già illuminata, piuttosto che avventurarsi là dove dovrebbe inventare quasi tutto dal nulla, rischiando magari di lavorare inutilmente perché ciò che accade laggiù, nel mondo “oscuro”, non è ritenuto interessante per noi.

È piuttosto evidente quindi che per andare controcorrente, per trovare strade nuove, occorre un atto coraggioso. Si tratta di ragionare in base a logiche non di convenienza ma di giustizia, ed è quello che la Rai ha fatto decidendo per la prima volta di inviare un vero e proprio corrispondente, cioè un giornalista che vivrà sul posto, in Kenya, a Nairobi, da dove cercherà di illuminare una parte del pianeta finora colpevolmente trascurata. E sono doppiamente felice perché il collega scelto per questa avventura è Enzo Nucci, fino a pochi giorni fa inviato della mia testata giornalistica, il Tg3.

Purtroppo il suo esordio come corrispondente ufficiale dall’Africa è stato segnato da una notizia tragica, la morte di suor Leonella, la religiosa italiana uccisa in Somalia dopo una vita spesa per i giovani di Mogadiscio, ma spero che Enzo troverà presto il modo di raccontarci l’Africa nella sua interezza, cercando di puntare non solo sulle tragedie e sulle violenze ma anche sugli aspetti positivi, sui fattori di crescita che si segnalano in quell’universo variegato e complesso che è il continente africano.

Le organizzazioni che si battono per la promozione dei diritti umani e per la giustizia, così come i missionari, hanno accolto con grande soddisfazione la notizia dell’apertura della Sede Rai in Africa. “E’ un successo del movimento per la pace e delle migliaia di cittadini, di organizzazioni e di enti locali che stanno sostenendo la campagna per un’informazione e una comunicazione di pace”, così si legge in un comunicato firmato da Tavola della pace, Coordinamento enti locali per la pace, Usigrai (sindacato dei giornalisti Rai), Federazione nazionale della stampa, agenzia Misna, Redattore sociale, Articolo 21, Megachip, riviste Nigrizia, Missione oggi e Mosaico di pace. Da tutte queste persone è arrivato un aiuto importante, e importanti sono le parole con le quali commentano la decisione della Rai: “Lo abbiamo fatto perché sappiamo che quello che succede in Africa riguarda anche noi, perché pensiamo che l’Africa può salvare l’Occidente aiutandoci a uscire dalla profonda crisi morale, politica e sociale in cui siamo precipitati”.

La nuova sede di Nairobi sarà intitolata a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i giornalisti del Tg3 uccisi mentre erano impegnati nella ricerca della verità in una delle tante tragedie africane. Come giorno di apertura è stato scelto il 4 ottobre, festa di san Francesco.

 

KAPUSCINSKI. REPORTER TERZOMONDISTA

“L’Africa, per quanto povera, resta pur sempre un mondo normale”. E parlarne solo in termini ed in occasione di eventi tragici è una deformazione. La citazione è di Ryszard Kapuscinski, uno degli ultimi veri reporter sopravvissuti all’accelerazione dei ritmi del nostro tempo mediatico. È tratta dal suo ultimo libro, “Autoritratto di un reporter” (Feltrinelli 2006). L’Autore definisce il suo lavoro come una missione per “trasmettere la verità sulle altre culture, sugli altri tipi umani e sulle loro motivazioni”. È questo che lo ha spinto, spesso anche a proprie spese, ad abitare per quasi 40 anni nei Paesi del Terzo Mondo, condividendo con la gente comune piccoli e grandi avvenimenti. I suoi libri sono una scoperta da non perdere ed insieme - come lui stesso in molteplici occasioni ha sottolineato - il frutto di un “duro lavoro” e di una “solida preparazione teorica”, portati a termine grazie a determinazione e passione. Requisiti indispensabili a chi voglia imbarcarsi nella faticosa professione di reporter.

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