La guerra non ha vinto

Pubblicato il 15-05-2013

di Ernesto Olivero


La guerra non ha mai vinto, non vince mai. Israeliani ed Hezbollah cantano vittoria, ma sanno di aver perso. Ha perso più di ogni altro la gente inerme.

di Ernesto Olivero

 

Meno male che la guerra con la sua violenza anche questa volta non ha vinto. La guerra non ha mai vinto, non vince mai. Israeliani ed hezbollah cantano vittoria, ma sanno di aver perso. Ha perso più di ogni altro la gente inerme, soprattutto in Libano e in Galilea, che ha pagato un conto salato e insensato per le decisioni di chi ha scelto lo scontro anziché il dialogo. Questa gente ora sta piangendo i propri morti, dall’una e dall’altra parte.

Per quanto ancora potremo sopportare il pianto disperato di una mamma che ha perso il figlio, dell’innamorato che ha perso il suo amore, del nonno che ha perso il suo nipotino? Il dolore è tremendo per tutti, è impossibile distinguere quando le lacrime sgorgano da occhi libanesi o israeliani, dagli occhi di un musulmano, di un cristiano o di un ebreo. La sofferenza e la disperazione non hanno colori, non hanno appartenenze religiose, non abitano un Paese più di un altro. Il dolore degli uni e degli altri, il dolore di tutti e di chiunque non può lasciarci indifferenti.

Perché non facciamo diventare questo pianto l’ultimo, tragico, pianto della storia? Perché non affidiamo ai giovani del Medio Oriente il compito della pace? Sono giovani diversi, stanno su fronti opposti, sono divisi da muri e da culture che non hanno scelto. Sono giovani che non hanno ancora conosciuto il sapore della pace, ma hanno la stessa voglia di vivere, di studiare, di giocare, di progettare il loro futuro. Sono giovani che stando insieme, conoscendosi meglio, potrebbero desiderare di togliere dal loro vocabolario e dalla loro vita la parola odio, la parola nemico, sostituendole con il rispetto, la convivenza, la libertà dalle bombe e dal terrorismo, con la sicurezza che si accompagna al benessere e allo sviluppo. Nel Paese di Isaia, che ha profetizzato un futuro in cui le armi saranno trasformate in strumenti di lavoro, sarebbe una bella “rivoluzione”.

Perché finalmente i “grandi” non si comportano da “grandi”, impegnandosi a riparare le ingiustizie che sono avvenute? Perché non ci impegniamo tutti nel trasformare torti e ragioni in gesti di pace, vittime e aguzzini in operatori di pace?
Dagli anni successivi alla seconda guerra mondiale la storia del Medio Oriente è piena di conflitti e di contese, di ragioni e di torti, ormai così aggrovigliati che pare quasi impossibile venirne a capo. Ma noi siamo convinti che da quel dolore, da quelle sofferenze, da quelle ragioni può nascere una profezia di pace, una riconciliazione capace di creare una “città nuova” che fa tacere il rumore delle armi per fare spazio al lavoro, alla dignità, alla solidarietà.

L’Arsenale della Pace, testimone della bontà che disarma, chiede alle giovani generazioni di impegnarsi in prima persona per la pace che è possibile e di convincere i loro padri e i loro leaders che la pace conviene. E per avere la pace conviene lottare contro la fame, che miete 30.000 vittime ogni giorno, conviene abbandonare ogni forma di violenza, conviene rispettarsi reciprocamente. Se vuoi la pace, aiuta gli altri a vivere in pace.

Tenda della pace  

 

 

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