La Chiesa non è nemica

Pubblicato il 31-08-2009

di Redazione Sermig


Scandali e abusi sessuali non aiutano la missione della Chiesa nella società attuale. La Chiesa spesso non è considerata amica. Tocca a noi cristiani rimetterci sulla buona strada.

di Ernesto Olivero


Ieri sera sono stato un po’ davanti alla televisione saltando da un programma all’altro: sul primo canale la storia di una donna pugile che, dopo un gravissimo trauma sul ring, ormai malata inguaribile, prova in tutti i modi a togliersi la vita. Sarà il suo ex allenatore a staccarle la spina. Su Rai2 un programma durissimo, violento, contro la Chiesa, con interventi, fra gli altri, di omosessuali e transessuali. Dalle loro parole è evidente che la Chiesa è percepita come nemica.
Durante la trasmissione un noto giornalista di Torino elenca – con nome e cognome – preti pedofili, responsabili di scandali gravissimi che hanno dissanguato le finanze della Chiesa americana. È di pochi giorni fa il caso della Diocesi di San Diego in California, costretta a chiedere la bancarotta in seguito alle molte e onerose richieste di risarcimento – oltre 200 milioni di dollari – delle vittime di abusi sessuali. Questi attacchi, motivati o immotivati, alla Chiesa mi fanno male perché nella Chiesa ho trovato le cose più belle della mia vita. C’è una sofferenza che fa male, che non porta da nessuna parte. Noi cosa possiamo fare? A me piacerebbe che la gente quando incontra qualcuno di noi potesse dire: “Ho trovato una persona ‘strana’! Mi sembra buona”. Tra noi cristiani dovremmo trovare quasi una conferma di questo atteggiamento: mi guardo intorno e vedo persone coerenti, credibili.

Ho sempre avuto chiara nella mente un’immagine emblematica: dovremmo essere delle candele che fanno luce consumandosi e ognuno di noi dovrebbe vedere negli altri un piccolo buon esempio. Come dovremmo guardare la Chiesa? Dovremmo guardarla con lo stupore di chi vede un’opera di Dio, con lo stupore di chi si meraviglia che persone normali, persone qualunque, a volte irose e un po’ cattive, insieme si sforzino di essere un’immagine bella della presenza di Dio, un’immagine che diventa concretezza.

Una delle cose più belle che è capitata all’Arsenale della Pace è di pochi giorni fa. Muore una donna musulmana che per anni ha allevato tutti i figli di una famiglia di Torino. La famiglia, cristiana, non sa come fare per darle l’ultimo saluto, una preghiera. Chiedono a noi. La Fraternità del Sermig la accoglie all’Arsenale. Sono presenti anche amici, cristiani e musulmani, della defunta. Un sacerdote buono prega per lei non usando, per rispetto verso la sua religione, preghiere cristiane. Ho visto commozione, ho visto lacrime. Che bella cosa una fraternità accogliente!

Dio dovrebbe compiacersi di noi cristiani, dovrebbe poter dire: “Non sono ancora come li vorrei, ma sono sulla buona strada”. Quando non ce la facciamo più, quando ci sembra difficile tirar fuori qualche parola o un silenzio più vero delle parole, alziamo lo sguardo in alto e preghiamo così: “Papà, aiutaci!”.

La bellezza di chi vive il Vangelo non sta soltanto nei gesti evidenti e pubblici, ma anche nei servizi più umili e nascosti. Nelle piccole cose che faccio è racchiuso lo sguardo di Dio che si posa su di me, le faccio per Dio. Con la stessa grinta e la stessa gioia con cui faccio le cose che nessuno vede ma che Dio conosce, scrivo, parlo, prendo posizioni e decisioni che riguardano la società, mi occupo di politica o di altre attività a servizio del bene comune. La gente guardandomi dovrebbe poter dire: “Quella donna, quell’uomo, è un po’ diverso. Chissà come mai?”.

Se veramente noi siamo di Dio, questo può essere l’inizio per far capire che la Chiesa è la casa di Dio. Nella Chiesa però dobbiamo anche avere il coraggio di dire: “Tu hai rubato. È sbagliato! Tu hai una tendenza deviata verso i bambini. Non è possibile!”. Sono convinto che la Chiesa debba anzitutto vagliare accuratamente i candidati al sacerdozio e agli ordini religiosi, vagliare ogni vocazione con amore e severità per prevenire comportamenti che possono arrecare danni e sofferenze, poi debba invitare con decisione chi ha doppie vite e tendenze devianti a cambiare atteggiamento e dirgli con fermezza: “Non va bene”.

Non dobbiamo farci dire dall’esterno che certe persone di Chiesa ne fanno di cotte e di crude, dobbiamo muoverci dall’interno prima che arrechino danni e facciano del male ad altri, male che il solo risarcimento economico non guarisce. Non dobbiamo “impiccare” nessuno, ma usare fermezza e dire con chiarezza: “Tu non sei adatto per questo ministero!”. Non si deve nascondere il problema unicamente spostando le persone da una città all’altra.

E allora ci accorgeremo che in poco tempo la gente dirà: “C’è una difficoltà? Andiamo in Chiesa!”. “C’è un problema? Andiamo in Chiesa! Lì è casa di Dio. I cristiani non sono i meglio, ma sono fedeli”. Nella Chiesa ho trovato tantissime persone che sono veramente i meglio, che mi hanno edificato, mi hanno consolato, che ci hanno edificato, ci hanno consolato.
Ernesto Olivero









Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok