L’Inatteso
Pubblicato il 03-10-2023
Nel sistema solare di laggiù, c’era un pianeta dove la realtà andava oltre le apparenze. Nonostante si chiamasse Caos, in quella terra tutto era organizzato alla perfezione. Così sembrava. La società era fondata su diritti e doveri, su un senso diffuso di egualitarismo. Nei fatti però, prevalevano le tribù. Formalmente non si vedevano, non erano così condizionanti. Eppure, avevano radici. Eccome se le avevano. Ce ne erano di ogni tipo. Tribù professionali, ognuna con il suo codice, il suo linguaggio, la sua sfera di interessi, relazioni e pressioni. Altre tribù erano segrete, delle consorterie che dietro le quinte gestivano il potere, se lo spartivano, secondo la logica degli amici degli amici. Le tribù religiose erano in apparenza le più cristalline e inattaccabili. Chi vi faceva parte si sentiva depositario della verità da proclamare e difendere, da usare come clava se necessario. Pronti a dialogare nei modi, eppure così distanti. Non erano da meno le tribù politiche unite per un tempo da ideologie e ideali, sostituiti poi da interessi più bassi, in certi casi dal perseguimento di profitti personali.
Accanto alle tribù più grandi, altre più piccole e rumorose. Alcune basate sull’orientamento affettivo e sessuale, sulla difesa dei diritti umani e anche dei diritti degli animali, sul colore della pelle. La tribù “verde” invece aveva a cuore il futuro climatico di Caos, in prima linea per un modello di sviluppo sostenibile. Al contrario, la tribù di “noi e loro”, detta anche “kontro”, era formata da chi condivideva lo stesso nemico, reale o immaginario: una volta era lo straniero, un’altra il fisco, un’altra ancora il “sistema”.
La logica delle tribù era curiosa: alcune erano stabili, ben radicate, per certi aspetti invincibili. Altre assolutamente fluide, emergevano ogni tanto per poi inabissarsi, oppure diventavano di moda per poi tornare nel cono d’ombra. Ormai la gente non ci faceva nemmeno più caso. Il copione era noto come la logica del confronto e anche delle polemiche. Le tribù erano le pedine di un gioco delle parti che in fondo faceva comodo a tutti. Fino a quel giorno, quando la vita di Caos fu stravolta dall’Inatteso. Nessuno riuscì a definirlo con precisione, ma quell’evento fece saltare il banco, fece toccare con mano la fragilità della vita personale e comunitaria. Le categorie usate fino a quel momento non bastavano più. Ogni tribù cercò di dire la sua, di offrire una soluzione, ma era come se non servisse a niente. Parole al vento, incomunicabilità totale. La vita di Caos diventò ancora più ingarbugliata, un vortice di problemi, paure e solitudini. A tal punto che tutti cominciarono a non escludere l’ipotesi di una deriva definitiva del Pianeta. Di fronte al pericolo, però, le tribù decisero di giocare un’ultima carta, di scegliere ciascuna un rappresentante di confrontarsi. Così avvenne.
Il consiglio delle tribù si riunì in un’atmosfera di perplessità generale, da ultima spiaggia. Ma come avviene a volte, grazie a certi incastri della storia, quei volti scelti nell’emergenza decisero di brillare di luce propria. Fu uno in particolare a prendere la parola per indicare una strada. «È vero, ci siamo fatti la guerra, per tanto tempo siamo stati un muro di gomma gli uni per gli altri, abbiamo sacrificato l’impegno per il bene comune in nome di una parte. Abbiamo fatto di sfumature particolari il tutto. Ma siamo ancora in tempo! Mettiamo da parte etichette e definizioni, condividiamo il tesoro che può unirci, ripartiamo dall’essenza che ci rende simili: l’umano che ci abita!». Chi ascoltò, accettò di vivere un nuovo inizio. Le tribù fecero un passo indietro, nel nome di un “noi” che nel tempo riuscì a combattere l’Inatteso, a non far sentire più solo nessuno. Caos diventò così un giardino.
Matteo Spicuglia
NP agosto / settembre 2023