L’aura

Pubblicato il 24-04-2023

di Matteo Spicuglia

Nulla viene tolto per davvero. L’ultima lezione di una maestra

Nessuno nasce imparato. Nessuno può “farsi” da solo. Siamo la somma del nostro vissuto, di chi ci ha voluto bene, spronato, di chi ha tessuto con amore ogni passaggio. È vero: per crescere un bambino ci vuole un villaggio. Nel mio un posto speciale lo ha avuto Laura, la mia maestra delle elementari.

All’epoca era una giovane donna, bella di aspetto, con i capelli biondi, una seconda mamma. Vulcanica, a suo modo una pioniera. Capace di inventarsi di tutto per tenere viva l’attenzione e i guizzi di noi scolari. Erano gli anni Ottanta, la scuola elementare in Italia stava uscendo da modelli educativi più tradizionali, aprendosi a nuove esperienze. Laura lo aveva capito: le basi erano importantissime, ma l’apprendimento non avrebbe dovuto limitarsi a scrivere e fare di conto. C’era un mondo da cogliere, da vivere, da immaginare. Segnali di trasformazioni epocali appena abbozzate che meritavano di essere acciuffati.

Laura non era capita da tutti, ma vedeva lontano. Non fu facile per esempio far acquistare alla scuola i primi computer. Oppure convincere le famiglie che aveva un senso insegnare a noi alunni il linguaggio del fumetto, della pubblicità, della comunicazione in genere. Ricordo quando decise di mettere in scena Sogno di una notte di mezza estate con noi bambini piccoli attori e anche scenografi. O quando pensò di realizzare un videoclip musicale e un piccolo film in dialetto locale. Era un fiume di idee Laura, ma senza mai venire meno ai suoi compiti istituzionali. Se ho imparato qualcosa della scrittura è anche grazie a lei, al suo quadernetto di seconda elementare su cui ci costringeva a scrivere le parole difficili, quelle che un bambino ancora non conosce, con accanto il giusto significato. E ancora, l’invito a usare registri e stili diversi perché l’Italiano è una lingua meravigliosa e come ogni tesoro chiede semplicemente di essere scoperta, passo dopo passo. Laura è stata un’educatrice vera, in grado di tenere in equilibrio dolcezza e severità, di esserci totalmente nel proprio compito, ma con la saggezza di chi alla fine sa anche lasciare andare. Lo fece con generazioni di bambini, rimanendo però sempre presente. In quarant’anni, non ci siamo mai persi di vista. Io lontano, ma lei comunque vicina, nelle mie conquiste, nelle fatiche, nei risultati raggiunti, di cui anche lei ha goduto, perché con umiltà se ne sentiva parte. Aveva ragione! L’ho rivista pochi giorni fa: sempre lei, bellissima, materna, anche se non ricorda più niente del passato e fa fatica ad articolare frasi compiute: la prova inattesa di questo tempo, per lei e anche per il marito che le è sempre stato vicino. Oggi, ancora più di ieri.

Appena l’ho incontrata, mi ha sorriso e mi ha dato del lei. «Buonasera, piacere!». Non mi ha riconosciuto. Eppure, non l’ho mai sentita così presente. Almeno in me. Perché se in quella stanza non c’era più comunicazione, palpitava tuttavia tutto quello che ci siamo scambiati. C’ero io bambino e la conoscenza che lei ha schiuso in me. C’era l’affetto e l’amore gratuito che non ha bisogno di parole per esprimersi. C’era il mistero della fragilità che toglie il respiro, ma non cancella il senso e la dignità della vita. C’erano la speranza e la certezza che nulla viene tolto per davvero. Tutto palpabile, tutto vicino. Si sentiva nell’aria. Io e la mia maestra… L’aura.

Matteo Spicuglia

NP Febbraio 2023

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok