Islam e democrazia…

Pubblicato il 02-09-2013

di Massimo Introvigne


Un incontro possibile? La questione è di grandissima importanza non solo per il futuro dei Paesi a maggioranza islamica, ma anche per l’integrazione degli immigrati musulmani di casa nostra, a cominciare dalle proposte di concessione del diritto di voto. Chi ha ragione?

 

Sia Bush che Kerry hanno attaccato coloro che pensano che la democrazia sia incompatibile con l'islam, e hanno difeso l'idea secondo cui l'ideale e la pratica democratica sono invece esportabili ovunque. La questione è di grandissima importanza non solo per il futuro dei Paesi a maggioranza islamica, ma anche per l'integrazione degli immigrati musulmani di casa nostra, a cominciare dalle proposte di concessione del diritto di voto. Chi ha ragione?

Uno degli errori dell'Occidente nel trattare con l'islam - originario o d'importazione tramite l'immigrazione - consiste nel soffrire di una "sindrome di Voltaire" che spinge a immaginare che l'unico interlocutore accettabile sia il "laico" culturalmente occidentalizzato e sostanzialmente miscredente. Questi "laici" esistono, ma raramente godono del sostegno popolare. Possono governare, come Saddam Hussein o i generali algerini di qualche anno fa, ma governano contro la loro società civile con il terrore e l'arbitrio.

Uno dei problemi è terminologico: noi chiamiamo - certo per mancanza di categorie più adeguate capaci nello stesso tempo di essere largamente condivise - "fondamentalisti" tutti coloro che interpretano l'islam in modo conservatore e vogliono una politica ispirata dall'islam. Così fondamentalista è il partito al governo in Turchia, fondamentalisti sono i Fratelli Musulmani, e fondamentalisti sono i vari spezzoni di al-Qa'ida.

Qualche distinzione, invece, si impone. C'è un islam politico conservatore che afferma di voler considerare la legge islamica, la shari'a, come orizzonte ideale e come ispirazione, non come un insieme di precetti codificati una volta per tutte nel Medioevo: che cosa ne potrà risultare è tutto da scoprire, ma è questa l'impostazione che dichiara il primo ministro Erdogan in Turchia (e lo stesso fanno vari intellettuali che vengono dal "fondamentalismo" ma si stanno spostando su posizioni diverse, in Tunisia, in Egitto, in Europa).

C'è un islam effettivamente fondamentalista, ben più conservatore rispetto alle posizioni di un Erdogan, che persegue i suoi scopi "dal basso" con un'operazione "neo-tradizionalista" di islamizzazione della società civile e di partecipazione alla vita politica con mezzi democratici e non violenti. E c'è un islam ultra-fondamentalista che almeno non esclude, quando non lo organizza e lo pratica, il terrorismo come mezzo di lotta. Con il primo cosiddetto "fondamentalismo" (in realtà conservatorismo), quello di Erdogan, si può e si deve dialogare: sono forze simili, non i presunti "laici", che possono offrire alle popolazioni medio-orientali una leadership credibile e ostile al terrorismo. Con gli ultra-fondamentalisti il dialogo è impossibile.

Restano i fondamentalisti "neo-tradizionalisti": organizzazioni come i Fratelli Musulmani, peraltro assai diverse nelle loro varie anime nazionali. Si può dialogare con costoro? La cartina di tornasole è la condanna del terrorismo "senza se e senza ma": anche quello di Hamas (il che non implica evidentemente indossare la politica del governo israeliano), anche quello ceceno (il che - ancora - non significa non porsi il problema politico e umanitario della Cecenia), anche quello del Kashmir. Finché il fondamentalismo continua a considerare i terroristi che sparano sui civili e prendono in ostaggio camionisti, missionari, bambini come "fratelli che sbagliano", gli è difficile anche soltanto porsi il problema della democrazia.

Ma, come accennavo, dall'interno stesso del mondo fondamentalista si levano oggi voci diverse. Particolarmente interessante è la posizione del dirigente politico tunisino Rached Ghannouchi. Esule a Londra, leader del partito al-Nahda (ufficialmente messo al bando in Tunisia), Ghannouchi presenta una possibile linea di evoluzione dall'islam fondamentalista verso un islam conservatore. Il pensiero del leader tunisino rimane radicato nell'idea, che resta diffusa tra i musulmani a tutti i livelli, del primato della civiltà islamica, superiore alle società laiche occidentali e anzi in grado di offrire soluzioni ai problemi di devianza e alienazione che tormentano molta gioventù occidentale.

Non è qui, però, che si deve cercare l'originalità di Ghannouchi. In un recente saggio, il pensatore tunisino distingue la democrazia "alla francese", fondata sul laicismo e sull'ostilità alla religione, radicata nella "influenza della Rivoluzione francese", e la democrazia "anglo-sassone" dove "non esistono questi aspri conflitti fra la religione e la politica". Sfortunatamente "i nemici della religione nel mondo arabo" si sono ispirati alla "tradizione francese", mentre altri hanno combattuto l'islam in nome del marxismo-leninismo, che secondo Ghannouchi si situa a sua volta nella linea che parte dalla Rivoluzione francese. Ritiene che il governo ideale sia "un sistema islamico di governo fondato sulla shari'a (consultazione)", una forma originale di democrazia islamica. Questa forma, peraltro, è tutta da costruire nel contesto moderno.

Nell'attesa, una democrazia di tipo "anglo-sassone" costituisce "la seconda migliore alternativa per i musulmani". Il rifiuto della democrazia da parte di numerosi movimenti islamici deriva secondo Ghannouchi dal fatto che l'unico modello che è stato loro presentato è quello "francese". E le posizioni assunte dalle autorità francesi sulla questione del velo hanno dato il colpo di grazia, agli occhi della grande maggioranza dei musulmani, a ogni prospettiva di riconciliazione fra il loro stile di vita e la democrazia "alla francese".

Si può osservare che la preferenza per il modello anglo-sassone di democrazia rispetto a quello francese coesiste, anche presso Ghannouchi, con feroci critiche agli Stati Uniti per la loro politica internazionale, particolarmente per il loro sostegno a Israele. D'altro canto gli stessi Stati Uniti - come nota il sociologo francese Olivier Roy - potrebbero paradossalmente trovarsi in una posizione più favorevole dell'Europa per aprire un dialogo con movimenti politici musulmani a base religiosa: perché in America l'idea di separazione fra religione e politica è diversa da quella europea, e gli americani sono ben più abituati di noi ad accettare e tollerare una religione che irrompe continuamente sulla scena politica ed elettorale. Gli Stati Uniti sono stati più rapidi dell'Europa a cogliere le potenzialità democratiche di movimenti islamici conservatori o post-fondamentalisti, nonostante i loro dirigenti siano spesso anti-americani.

Certo, un rumoroso sostegno dell'Occidente - e degli Stati Uniti in particolare - si rivelerebbe controproducente, e metterebbe in pericolo la credibilità, e la stessa incolumità fisica, di rappresentanti di un islam "centrista" o conservatore. L'eliminazione fisica in Iraq, all'indomani della caduta del regime di Saddam, di autorità religiose conservatrici considerate filo-occidentali (l'ayatollah Khoi) o anche solo fondamentaliste, ma troppo critiche nei confronti dell'ultra-fondamentalismo (il dirigente del partito SCIRI Bagher al-Hakim) costituisce, da questo punto di vista, un tragico monito. Vi sono però forme più discrete di sostegno, strategie e politiche anche di tipo culturale attraverso le quali l'Occidente può favorire - dopo avere cessato di inseguire il miraggio di un progressismo islamico filo-laicista - l'emergere di forme nuove di tipo conservatore, così come un atteggiamento prudente può almeno evitare di ostacolare il difficile processo che porta esponenti e movimenti fondamentalisti a muoversi verso una posizione più "centrista".

Le novità, in tema di Islam e democrazia, non verranno dai pochi intellettuali non religiosi che sono sempre stati "democratici" ma non hanno mai avuto grande seguito tra i musulmani, ma dall'emergere di un "centro" conservatore, che coniuga devozione e apertura ai diritti umani, e che assomiglia molto a una versione islamica delle Democrazie Cristiane europee.

Massimo Introvigne è fondatore e direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni) e membro del gruppo "Religioni" dell'Associazione Italiana di Sociologia.

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