Il Dalai Lama in Italia
Pubblicato il 31-08-2009
Dal 7 al 16 dicembre, il Dalai Lama sta portando nelle principali città italiane il suo messaggio di autorevolezza morale e di pace. Anzitutto per il suo Paese, il Tibet.
di Claudio Torrero
Il Tibet è un paese immenso, vasto quanto l’Europa occidentale, con solo sei milioni di abitanti. Un piccolo popolo che deve la sua fama e il suo ruolo nella storia all’aver conservato per un millennio una delle più grandi civiltà umane, quella del Buddhismo Mahayana dell’India, scomparso dall’India a seguito di una lenta decadenza e poi definitivamente dopo l’arrivo dei musulmani. Ha consentito ciò una particolare struttura sociale organizzata intorno ai monasteri, facente capo a un monaco rivestito di autorità regale, per l’appunto il Dalai Lama. “Dalai Lama” vuol dire “maestro che è oceano di saggezza”. Questo è il nome che da secoli si dà ai capi religiosi e politici del Tibet, considerati incarnazione di Avalokitesvara, il Buddha della compassione. |
Per secoli dunque il Tibet è riuscito a mantenere un’autonomia dalle potenze circostanti. A ovest, nelle regioni dell’Asia centrale, il Buddhismo veniva sradicato e sostituito dall’Islam. A sud l’India passava dalla dominazione islamica a quella inglese. A nord si avvertiva la pressione della Russia. A est si aggrovigliava il nodo con la Cina. L’idea che che il Tibet faccia parte della sua unità territoriale, paradossalmente ha la sua radice storica in ciò che avrebbe dovuto garantirne l’autonomia, cioè la protezione a suo tempo accordata dagli imperatori mongoli. Furono essi infatti a riconoscere l’autorità del Dalai Lama. Durante il Novecento, nessuna tra le società tradizionali asiatiche riesce più a sottrarsi alle dinamiche poste in atto dalle potenze occidentali. È la Cina soprattutto ad abbandonare gli assetti che l’hanno caratterizzata per millenni e ad avviare un processo di modernizzazione che la conduce a diventare quel gigante economico e politico che è oggi in grado di competere con l’Occidente stesso. |
Ben difficilmente eventi tanto tumultuosi avrebbero potuto risparmiare una società così fragile come quella tibetana. Poco prima di morire il tredicesimo Dalai Lama formulò un’impressionante profezia: “Dobbiamo essere pronti a difenderci altrimenti le nostre tradizioni spirituali e culturali saranno sradicate. Perfino i nomi dei Dalai lama e dei Panchen Lama saranno cancellati. I monasteri verranno saccheggiati e distrutti, monaci e monache uccisi o scacciati, diventeremo schiavi dei nostri conquistatori, ridotti a vagabondare senza speranza come mendicanti”.
L’immenso territorio tibetano è diventato anzi la frontiera su cui scaricare l’immensa pressione demografica della Cina: già oggi i Tibetani sono in minoranza nel loro paese, e il processo di colonizzazione è destinato a proseguire. Si parla di “genocidio per diluizione”. |
Birmania, Monaci in processione |
Il Buddhismo è stata la prima tra le religioni universali della storia diffuse al di fuori del contesto socioculturale originario, prima che esperienze analoghe sorgessero dal ceppo del monoteismo ebraico. Per lunghi secoli i monasteri buddhisti hanno costituito la cultura comune dell’India a della Cina, nonché del Giappone, della Corea, dell’Indocina, dell’Indonesia, della Mongolia e di buona parte dell’Asia centrale. Su tutti questi mondi il Buddhismo ha svolto un’influenza indubbiamente pacificatrice, lasciando segni visibili a distanza di secoli nella coscienza collettiva. |
L’accanimento con cui la Cina moderna ha perseguitato il Buddhismo, non solo in Tibet ma nel suo stesso territorio, è una feroce rimozione delle sue proprie radici spirituali: per questa ragione la risoluzione del problema tibetano avrebbe un significato profondo per la Cina stessa. D’altra parte il fatto che i monaci esuli dal Tibet abbiano trovato rifugio in India ha un valore simbolico di grande rilievo: il Buddhismo viene nuovamente accolto nella sua terra d’origine, da cui è sparito un millennio or sono. Ora che il Dalai Lama ha la sua sede nella terra di Gandhi e si richiama a Gandhi nella sua azione politica, è come se l’India si riappropriasse di parti essenziali della sua storia e acquistasse coscienza di una forza culturale i cui effetti non possono che essere benefici per il mondo intero La politica del Dalai Lama può anche essere criticabile alla luce dei criteri politici occidentali. Ci sono però effetti visibili nell’immediato e altri che lo sono solo a distanza di tempo. Oggi Sua Santità ha superato i settant’anni, dopo una vita spesa infaticabilmente. Alle sue spalle è come se vi fossero millenni, di fronte un mondo che si trasforma a un ritmo vorticoso, in cui la stessa condizione umana potrebbe essere coinvolta in forme di esperienza finora sconosciute. Si potrebbe dire che la politica del Dalai Lama consiste nel gettare “ponti sottili”: tra l’Oriente e l’Occidente, il passato e il futuro, le esigenze concrete e materiali e quelle del destino spirituale. Ponti sottili che, per loro stessa natura, non sempre si mostrano con indubitabile chiarezza; sui quali nondimeno in ogni tempo transitano gli individui e i popoli. |
di Claudio Torrero
Newsletter di Interdependence.it, N.6/2007 |
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PROGRAMMA DEL DALAI LAMA IN ITALIA
Udine, 11 – 12 dicembre (info: cianciubcioling.com) |