Generazione Erasmus

Pubblicato il 26-03-2021

di Arianna Altina

I programmi Erasmus iniziano con una candidatura nella quale lo studente può indicare alcune scelte di Università estere in cui vorrebbe trascorrere un periodo di studio. Coimbra, in Portogallo, non era tra le mie scelte e quando ricevetti questa proposta via mail ne rimasi stupita. Si hanno però pochi giorni per accettare o rifiutare la destinazione assegnata e la frase che continuava a risuonarmi in testa in quella settimana di tempo era “l’imprevisto accolto”. Non ero mai stata in Portogallo, non ne conoscevo la lingua e sarei partita apparentemente da sola, ma con la consapevolezza che ovunque mi avrebbe accompagnato il pensiero della mia famiglia e di una moltitudine di amici. E sono stati proprio loro a consigliarmi di partire a febbraio anziché a settembre, per poter godere maggiormente del bel tempo portoghese rispetto all’autunno, dei suoi paesaggi costieri e assolati, delle tradizioni tipiche della città in cui avrei vissuto per 5 mesi e che possiede la più antica Università di tutto lo Stato, fondata nel 1290. Il Portogallo, e in particolare Coimbra, è il Paese più ancorato alle tradizioni che io abbia mai conosciuto: sono proprio i giovani che le portano avanti da generazioni e generazioni, grazie alle associazioni studentesche. Alcune tradizioni sono mutate adattandosi ai tempi e ai nuovi studenti, ma quella più evidente che tutti possono notare passeggiando per Coimbra tra settembre e giugno, è che gli universitari dal secondo anno di corso indossano una divisa locale, compresa di mantello lungo fino ai piedi! Proprio lo stile tipico a cui si ispirò la scrittrice J. K. Rowling per vestire i suoi maghetti capitanati da Harry Potter. Sono stata accolta così la stessa sera in cui sono arrivata in città e non ho potuto che rimanerne affascinata anche io. All’imbrunire sul piazzale dell’Università si possono perfino sentire i pipistrelli volare dentro la biblioteca Joanina, alla ricerca degli insetti che vivono tra i libri più antichi.

Così, tra molte ricerche su internet ma con le poche conoscenze che possedevo, sono partita, cogliendo e accogliendo una possibilità che mi era stata donata in un preciso momento di cui ne sentivo tanto il bisogno. Non avevo aspettative, ma sicuramente non immaginavo che sarei tornata in Italia così piena di gioia, di relazioni nuove, di una maggiore e mutata consapevolezza di me stessa che non avrei acquisito se non mi fossi trovata in tante situazioni difficili e in altrettante gratificanti.
Fino a marzo ho avuto la fortuna di frequentare la scuola tutti i giorni, dal mattino alla sera, talvolta iniziando alle 8 per tornare in camera alle 22 e crollare subito dal sonno dopo una videochiamata a casa. I miei coinquilini uscivano ogni sera, come molti altri studenti internazionali, per poi tornare la mattina dopo, mentre io mi stavo preparando per andare a lezione. Mi chiedevo spesso se fosse davvero quello il mio posto e perché avessimo priorità così diverse tra noi.
In Università stavo conoscendo alcune studentesse locali che, comunicando in inglese, cercavano di aiutarmi a tradurre quei concetti che non riuscivo a capire a lezione in lingua originale. La seconda settimana di marzo ho saputo che avrei potuto finalmente iniziare il tirocinio in una scuola Primaria e ne ero entusiasta quanto intimidita: vedere “tra i banchi” ciò che viene fatto in un Paese estero per poi portarlo in Italia era per me una delle principali motivazioni per cui mi ero candidata per l’Erasmus, ma mi sentivo limitata, perché un conto è capire i concetti espressi in una lingua non troppo conosciuta, un altro è doverla parlare o capire cosa stanno cercando di dirmi dei bambini di 6 anni.

La notizia della diffusione del virus prendeva piede anche lì, leggermente dopo rispetto all’Italia, e noi studenti italiani iniziavamo a ricevere mail da parte dell’Università che ci chiedeva di stare in quarantena fiduciaria nel caso fossimo arrivati sul posto da meno di due settimane. Il 9 marzo venimmo avvisati che le università avrebbero chiuso dal giorno seguente e i tirocini sarebbero stati sospesi, perché le scuole non si sentivano più sicure ad accogliere gli esterni. La situazione in Italia stava peggiorando di giorno in giorno, mentre invece tra tutti gli studenti internazionali non vi era alcuna preoccupazione: le università erano chiuse, mentre tutti i pub continuavano ad essere sovraffollati e noi italiani iniziavamo a sentirci responsabili di un mancato intervento che andava fatto, soprattutto vedendo anticipatamente ciò che sarebbe probabilmente successo di lì a poco anche in Portogallo. Ci siamo quindi messi in contatto con i proprietari dei locali che ogni sera vedevano ammassati centinaia e centinaia di ragazzi. Dal giorno seguente quei luoghi di aggregazione chiusero, e subito dopo il Portogallo entrò in lockdown, il 13 marzo. Da quel giorno abbiamo visto partire in fretta e furia molti dei nostri amici che erano venuti lì per divertirsi e per svagarsi, sui nostri telefoni arrivavano sempre più chiamate dai familiari preoccupati se farci tornare a casa, ricevevamo mail più o meno rassicuranti sia dall’Università italiana che da quella ospitante e leggevamo da ogni dove notizie diverse riguardanti le scelte prese dal Governo. Fin quando sospesero tutti i voli da e per l’Italia. Caspita. In quel momento i miei coinquilini ed io ci siamo guardati negli occhi e abbiamo capito che eravamo rimasti insieme, chiusi in un vero e proprio sottotetto e impossibilitati ad uscire, ma insieme. Noi quattro: due ragazze e due ragazzi, molto diversi tra loro, che quasi non si conoscevano perché il mese passato lo avevano trascorso con compagnie diverse. Ebbene, sono diventati i mesi più belli della mia esperienza. Ogni giorno, tra una lezione online e l’altra, nasceva nella mente di qualcuno un modo nuovo di occupare il tempo e le energie, nascevano idee, nasceva il tempo per delle riflessioni personali e comuni, nascevano passioni, nasceva l’amicizia tra di noi.
Una persona a cui voglio bene dice che le cose più sono difficili più sono di Dio. Beh, non posso dire che sia stato semplice vivere l’Erasmus durante una pandemia mondiale, ma il cuore così felice come in quei mesi non può che essere stato un dono. Un dono che è partito da un sì detto con fiducia, dandomi l’ennesima conferma che ovunque vada, ovunque andiamo, non siamo mai soli e che anche l’imprevisto, se accolto e amato, può donarti infinitamente più di tutto ciò che invece era previsto.


Arianna Altina
NP gennaio 2021

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