Figli del genocidio

Pubblicato il 10-08-2012

di Aldo Maria Valli

di Aldo Maria Valli - La scrittrice Fethiye Çetin alza il velo sulla sorte dei sopravvissuti al genocidio degli armeni: un milione e mezzo di vittime nella Turchia del 1915. Solo da pochi anni la Turchia ha incominciato a fare i conti con la questione del massacro degli armeni avvenuto all’inizio del secolo scorso.

Un’eredità terribile, rispetto alla quale la Turchia moderna fatica ancora moltissimo a mettersi dalla parte della verità storica, sgombrando il campo da miti ideologici coltivati per decenni in nome della purezza della razza turca. Fra gli intellettuali che coraggiosamente stanno cercando di fare luce sul passato e di guidare la cultura nazionale verso un pieno riconoscimento delle responsabilità turche, c’è Fethiye Çetin, avvocatessa e scrittrice che ha deciso di raccontare in un libro la storia, ancora quasi del tutto sommersa, dei bambini che, sopravvissuti al massacro, furono islamizzati e soltanto molti anni dopo hanno scoperto le proprie origini armene. Il libro, intitolato Torunlar, ossia I nipoti, è il frutto di numerosissime interviste realizzate dall’autrice con la collaborazione dell’antropologa Ayse Gül Altinay e propone un quadro sconvolgente. Le persone sopravvissute ai massacri in Turchia sono chiamate, con disprezzo, i resti della spada.

Si tratta in massima parte di donne che all’epoca dei fatti erano bambine e che sono cresciute ignorando le proprie origini, salvo poi scoprirle in modi diversi, ma soprattutto grazie a madri e nonne che sussurravano qualche mezza verità. L’autrice stessa, che è anche legale della famiglia di Hrant Dink, il giornalista turco di origini armene ucciso da un fanatico a Istanbul nel 2007, ha scoperto così di avere sangue armeno nelle vene: sua nonna era infatti una sopravvissuta. Oggi si tratta di alzare il velo su un mare di ipocrisia che per tanto tempo, in nome del negazionismo imposto dall’alto, ha coperto la verità. Le persone che raccontano le loro storie lo fanno tra mille difficoltà, in preda al senso di colpa, alla vergogna, a un misto di rabbia e paura, ma è un inizio. E forse soltanto così, attraverso le testimonianze personali e la rielaborazione di un dolore così profondo, la Turchia potrà finalmente guardare in faccia al passato senza finzioni e, togliendosi gli occhiali dell’ideologia, chiamare con il suo nome quello che è stato il primo genocidio del XX secolo e riconoscere che la sua realtà culturale e sociale è molto più mista e composita di quanto per anni e anni si sia voluto far credere.

“Solo dopo aver scoperto la storia di mia nonna – dice Fethiye Çetin – ho incominciato a rileggere con occhi diversi tanti particolari, come certe espressioni razziste di uso quotidiano, e mi sono resa conto che pregiudizi e stereotipi erano diffusi perfino in seno all’opposizione rivoluzionaria di sinistra di cui io facevo parte. Oggi alcuni discorsi non sono più tabù e certe ingiustizie, che erano state normalizzate, vengono condannate da buona parte dell’opinione pubblica e anche dal governo”. L’intervista a Fethiye Çetin, curata da Chiara Zappa, fa parte di un dossier che la rivista Mondo e Missione diretta da Gerolamo Fazzini dedica al messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace, incentrato in questo 2012 sulla questione dell’educazione. Dall’Argentina al Venezuela, da Israele all’Arabia Saudita, dal Giappone al Sudafrica, l’inchiesta dimostra come il tema scelto dal Papa, Educare i giovani alla giustizia e alla pace, sia effettivamente centrale nella costruzione di relazioni nuove all’interno di realtà segnate dalla divisione e dall’odio.

L'Inviato – Rubrica di Nuovo Progetto

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