Essere fuoco

Pubblicato il 15-02-2012

di laura e giancarlo

ESSERE FUOCO


“Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). Poche ma forti parole: è Gesù che viene a gettare il fuoco sulla terra, è Gesù che viene a gettare noi sulla terra. L’amore è il fuoco.
Il fuoco non dice mai basta. Nel Libro dei Proverbi c’è questa frase: “Gli inferi - nel senso del regno della morte -, il grembo sterile, la terra mai sazia d’acqua e il fuoco che mai dice: basta!” (Pr 30,16). Se lo si nutre, il fuoco non muore; si indebolisce e muore se non lo si cura. Così è l’amore. Però, per amare, dobbiamo guardare come Gesù ci ha amati. Noi potremmo dire che amiamo perché Dio ci ama, però l’amore di Dio sorpassa un po’ la nostra capacità. Invece di pensare così, proviamo a guardare l’uomo Gesù come ci ha amati. Il constatare come Gesù ci ha amati nella sua umanità ci aiuta poi anche a conoscerlo, e quindi anche a conoscere Dio.
Gesù per noi è nato povero, a Betlemme, ha vissuto come un pellegrino, è morto nudo. Nella sua vita ha aggiunto povertà a povertà, amore ad amore, fuoco a fuoco. Il Vangelo di Giovanni, verso la fine, dice: “Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1). Ma “sino alla fine” non vuol dire solamente fino al termine della vita, agli ultimi suoi giorni, alle ultime sue ore; vuol dire in verità, fino alla perfezione; vuol dire che li amò totalmente, che più di così non si può. E allora anche noi suoi discepoli - che vogliamo vivere Cristo “tenendo fisso lo sguardo su Gesù autore e perfezionatore della fede” (Eb 12,2) - siamo chiamati a diventare fuoco. Quel fuoco che Gesù è venuto a gettare sulla terra e che desidera sia acceso. Questo fuoco è quel fuoco che già ardeva nel roveto senza consumarlo e senza consumarsi, un fuoco che non si spegne, il segno che Dio è vicino, profezia di ciò che siamo chiamati a diventare e a vivere.
C’è fuoco e fuoco. C’è il fuoco che Gesù è venuto a gettare sulla terra, ma c’è anche quel fuoco che Giacomo e Giovanni, discepoli del Signore, volevano far scendere su Samaria perché i Samaritani non volevano accogliere Gesù: “«Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?».Ma Gesù si voltò e li rimproverò” (Lc 9,54-55): non era il suo fuoco. Non basta perciò dire che vogliamo o dobbiamo diventare fuoco, perché rischiamo di confondere un fuoco con un altro, il roveto ardente della presenza di Dio o quel fuoco che deve bruciare la gente cattiva. Non tutti gli zeli sono buoni, dobbiamo continuamente convertirci guardando Gesù e il fuoco che è Lui. Al seguito del nostro Signore e maestro noi cristiani non siamo nel mondo per giudicare il mondo e condannarlo, ma per salvarlo. Icona dell'amicizia
Cosa fa il fuoco? Nel tempio il fuoco brucia l’olocausto, l’olocausto bruciando dentro il fuoco diventa esso stesso fuoco. L’olocausto è ciò che brucia del tutto, non è un pezzetto che cuociamo e poi ci mangiamo, è quello che diamo senza riserva. Per noi l’olocausto non sono le cose che diamo, ma siamo noi stessi che ci diamo fino in fondo. Ci sono cose che promettiamo di dare al Signore, altre invece che imprestiamo per poi riprendercele e altre cose che usiamo insieme al Signore, ma quando è questione di amore occorre darle e lasciarle bruciare secondo la volontà del Signore: è allora che diventiamo fuoco e ci fidiamo della parola di Gesù che ci dice che ad abbandonare tutto nelle sue mani non perdiamo nulla: “Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,39).
Gesù al momento di morire ha abbandonato se stesso nelle mani del Padre, ha abbandonato la sua vita umana e mortale e l’ha ricevuta risorta e gloriosa; se noi lasciamo che la volontà e il cuore di Dio prendano il posto della nostra volontà e del nostro cuore, allora ci abbandoniamo a Dio, come Gesù. Possiamo benissimo pensare che è troppo - quante volte leggendo il vangelo pensiamo che è un ideale irraggiungibile -, ma per chi ha deciso di prendere sul serio Gesù, come si può volere meno di questo?
Volere la mezza misura per il discepolo di Gesù non è possibile, il fuoco non può bruciare a metà. Gesù ci ha presi sul serio, ha preso sul serio la sua missione per noi, Gesù ci ha detto che è venuto a gettare fuoco, non acqua tiepida, e il fuoco brucia le scorie, ma scalda anche un mondo intirizzito e ghiacciato. I barboni che muoiono sulle panchine dei giardinetti non ci ricordano solo la nostra poca fantasia nel servire il mondo nella carità, neanche vogliono colpevolizzarci, ci dicono quanto siamo egoisti. Sono dei profeti, sono il segno dell’uomo contemporaneo che muore di freddo perché è solo, perché non è capace di vere relazioni, perché non è accettato cosi come è, perché intorno a lui non ci sono fiaccole infuocate ma solo piccoli fiammiferi che si spengono subito.
Gesù è venuto a gettarci nel mondo non come ghiaccioli che si sciolgono, ma come roveti ardenti che infiammano e si comunicano. Questo che ci fa essere simile alla Trinità, al Dio che è comunione d’amore, che si è presentato a Mosè e al popolo come colui che è, colui che è una relazione d’amore che non diminuisce. A Quebec ogni anno d’inverno in un parco si fanno dei capolavori di ghiaccio, però sono senza vita e senza futuro. Da una parte possiamo dire che sono un segno della gratuità della bellezza che basta a se stessa, che si riceve ma non può essere posseduta e capitalizzata, e la Grazia di Dio è anche così; dall’altra, che presentano un mero godimento estetico immediato che non possiamo dare e lasciare a nessuno, un qualcosa di incondivisibile. La nostra società sembra un po’ a quel parco: si è spinti verso il successo, a far mostra di sé, poi arriva la primavera - quante volte arriva la primavera della pensione! - e non c’è più nessuno, resta un po’ d’acqua, che sono le lacrime della depressione.

da un incontro di padre Cesare Falletti al Sermig
deregistrazione non rivista dall’autore

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