Armi e segreti

Pubblicato il 10-08-2012

di Aldo Maria Valli

di Aldo Maria Valli - Una partita di missili e razzi sequestrata nei Balcani e poi dirottata in Libia. Una storia italiana in cerca di verità. “Presidente Napolitano, perché il segreto di Stato deve servire per nascondere i traffici di armi?”. Questa la domanda che Francesco Vignarca e Flavio Lotti, a nome della Rete italiana per il disarmo e della Tavola della pace, hanno rivolto tempo fa al capo dello Stato in una lettera riguardante il caso di un misterioso invio di armi a Bengasi.

All’epoca in Libia c’era ancora il colonnello Gheddafi e in Italia il presidente del Consiglio era Berlusconi. Ora nei due Paesi il potere è passato di mano, ma le vicende oscure riguardanti le armi non sono state mai chiarite. L’ultima in ordine di tempo, della quale si sono occupati importanti giornali italiani e stranieri, viene ricapitolata nel numero di dicembre 2011 del mensile Popoli, il periodico internazionale di cultura e informazione missionaria della Compagnia di Gesù. Nel luglio scorso, mentre la Nato bombardava obiettivi strategici in Libia, lo Stato maggiore della Marina militare italiana inviava alla Procura della Repubblica di Tempio Pausania un nota in cui si affermava che “la destinazione finale delle armi confiscate e custodite nelle riservette di Santo Stefano è assoggettata al vincolo del Segreto di Stato”. Al che il sostituto procuratore Riccardo Rossi non ha potuto fare altro che archiviare il fascicolo.

Ma di quali armi stiamo parlando? Per capirlo bisogna tornare indietro nel tempo, precisamente al 1994, quando una nave battente bandiera maltese, la Jadran Express, viene intercettata nel Canale di Otranto mentre è diretta verso la ex Jugoslavia. Siamo nel mezzo della guerra civile che sta sconvolgendo i Balcani, l’Onu ha decretato un embargo sulle armi e nelle stive della nave c’è proprio ciò che non ci dovrebbe essere: quattrocento missili Fagot con cinquanta postazioni di tiro, trentamila mitragliatori AK-47, cinquemila razzi katiuscia, undicimila razzi anticarro e trentadue milioni di proiettili per mitragliatori. Dietro l’invio delle armi ci sarebbe l’oligarca russo Alexander Borisovich Zhukov, proprietario di una grande villa a Porto Cervo. Il carico, confiscato, è trasportato alla Maddalena e poi a Palau, in attesa di essere distrutto, come ordinato dalla magistratura italiana.

Ma qualcuno è di un altro parere e, anziché farlo saltare in aria, provvede a trasferire l’arsenale a Olbia per essere imbarcato su traghetti civili diretti, carichi di passeggeri, a Civitavecchia. Qui delle armi si perdono le tracce e ai tentativi di fare chiarezza (ci sono state anche interpellanze parlamentari da parte di esponenti del Pd e dell’Idv) si risponde con il segreto di Stato. Nella lettera al presidente della Repubblica, Vignarca e Lotti chiedono di sapere se risponda a verità la notizia secondo cui le armi, spacciate per aiuti umanitari, sono state inviate in Libia, a beneficio degli oppositori del regime di Gheddafi, in esplicita violazione della risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che chiede a tutti gli Stati membri di monitorare il rispetto dell’embargo sulle armi deciso con la risoluzione 1970.

Se così fosse, il governo Berlusconi sarebbe riuscito nella bella impresa di armare sia il rais (nel biennio 2008-2009 con materiale bellico per un valore di 205 milioni di euro, nel 2010 con un altro invio per un valore di cento milioni di euro) sia la resistenza. Ovviamente nel supremo interesse di una sola categoria: i produttori di armi. A questo proposito, nell’ultima relazione sull’export italiano di armi si spiega che i nostri migliori clienti sono nel Nord Africa e in Medio Oriente: Emirati Arabi Uniti (477 milioni di euro), Arabia Saudita (432 milioni), Algeria (343 milioni). E poi Egitto, Marocco, Oman, Qatar, Kuwait e, dulcis in fundo, la Siria, alla quale vendiamo sistemi di puntamento e controllo del tiro da piazzare sui carri armati. Come dire che la repressione condotta dal regime di Assad contro i manifestanti, e rispetto alla quale il nostro governo chiede un inasprimento delle sanzioni, avviene mediante tecnologie militari italiane.

Per le esportazioni di armi i produttori italiani si servono di banche attraverso le quali transita un flusso impressionante di denaro. Come l’intera economia, anche l’export di armamenti ha subito una contrazione in termini assoluti, ma le armi continuano a lasciare l’Italia verso molti Paesi perché viene dato seguito a commesse degli anni scorsi. E bisogna sottolineare che nel corso degli ultimi vent’anni la metà delle armi da noi prodotte ed esportate sono andate verso Paesi del Sud del mondo, molti dei quali avrebbero certamente bisogno di aiuti, ma in ben altri termini. Ne vogliamo parlare o ci accontentiamo del segreto di Stato?

L'Inviato – Rubrica di Nuovo Progetto

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok