Alleviamo la pace

Pubblicato il 09-12-2020

di Sara Casagrande

Una delle frasi che sento spesso dire da Ernesto Olivero è: «Non basta avere una bella cattedrale, bisogna vedere chi ci metti dentro». Noi avevamo uno spazio al secondo piano delle ex sellerie del vecchio arsenale militare che come ampiezza poteva essere davvero una cattedrale, ma come tutte le cose del Sermig ci voleva un po’ di immaginazione prima di vederla completata. Il desiderio era quello di creare uno spazio a disposizione dei bambini e quando ai sogni ci metti testa e gambe accade che un giorno li vedi realizzare proprio sotto i tuoi occhi!

Ottobre del 2010. Si aprono le porte del nostro Nido. Con un nome molto impegnativo: Il Nido del Dialogo che alleva la Pace. Il desiderio fin da subito è stato quello di aprire un servizio educativo ai bambini del nostro quartiere, una parte di Torino colorata di tante culture. Volevamo offrire un luogo che fosse casa, in cui ognuno avesse la possibilità di entrare per far parte di una famiglia più allargata che si prendesse cura della crescita di ogni piccolo.
Insieme alla cooperativa Liberitutti abbiamo fatto i primi passi iniziando un percorso con la consapevolezza che «la strada si apre camminando». All’inizio eravamo in quattro educatrici, siamo partite con due sezioni di bimbi da 1 a 3 anni, trasportate dalla magia della scoperta di metterci in gioco e di provare a rendere un servizio comune, un punto di dialogo e di relazione continua. Quattro educatrici animate dal desiderio di partire dai piccoli per arrivare anche a sostenere gli adulti e imparare a far rete con il territorio creando un luogo accogliente che educasse alla pace.

Ottobre 2020. In questi 10 anni il Nido si è trasformato e ha cambiato nome. Con gioia e stupore abbiamo potuto aprire altri due servizi: il Baby Parking e la Scuola dell’Infanzia che hanno portato il Nido a diventare un vero polo educativo, il Polo del Dialogo.
Un servizio per circa ottanta bambini da 0 a 6 anni con una quindicina tra educatrici, assistenti educative e personale vario. Un piccolo villaggio in cui, oggi più che mai, serve il contributo di ognuno per educare ogni singolo bambino. Questo ci rallegra e ci impegna ancora di più verso i piccoli che ci vengono affidati per un tempo molto lungo, forse uno dei più preziosi, della loro vita.

Dopo dieci anni cosa è cambiato? Cosa tiene vivo un servizio che anche dopo la pandemia si è fatto in quattro per esserci? Mi viene da dire che è aumentata la consapevolezza del ruolo che la nostra scuola ha. Continuiamo ad essere un punto di riferimento per i bambini e per i loro genitori provando ad entrare in punta di piedi nelle loro case e li accompagniamo a scoprire il loro modo di essere genitori. Stiamo cercando di far fronte in maniera positiva anche alle difficoltà ed incertezze di questo tempo affrontando ogni cosa con serenità. Impariamo ogni giorno a non avere paura delle nostre emozioni sia negative che positive. L’importante è guardarle in faccia, tirarle fuori e avere la consapevolezza che non siamo soli in questa sfida educativa.
Una delle gioie più grandi in questi anni è stata quella di vedere dei bambini entrati a otto mesi e usciti a sei anni compiuti imparare a volersi bene. Questa è la pace! Non aver paura delle differenze ma farle diventare ricchezza. Essere amico del figlio dell’avvocato come del figlio del carcerato. Aver davvero capito che l’anima di tutti ha lo stesso colore!

La mamma di M. ci confida: «Il Polo è stato per noi una scelta studiata e non ci siamo sbagliati! Non avremmo mai pensato che sarebbe stata per noi e per i nostri figli non solo un’ottima scuola ma un punto di riferimento. Il team si è impegnato a formarsi in un campo a loro non del tutto conosciuto per aiutare nostro figlio maggiore nello spettro autistico.
Siamo già preoccupati per quando dovrà cambiare scuola».

Josè, 5 anni: mi piaceva stare tutti insieme e fare religione tranquilli seduti in silenzio. Delle maestre mi piaceva l’amore e degli amici la felicità! Mi piaceva giocare tutti insieme e fare grattacieli con i lego; correre in terrazzo! Delle bambine giocavano a Frozen e c’era anche un tavolo da lavoro con degli attrezzi e altri giochi! Poi c’era un bambino, M. che ancora non sa parlare ma aveva tre anni, ora ne ha quattro e ha imparato a dire “salvietta”. Noi lo amavamo tanto e appena arrivava a scuola gli davamo tanti bacini e tante carezze!
All’ingresso del Polo, una frase di Ernesto: «I nostri bambini giocano insieme! Non fanno più differenze tra nazioni, religioni e colori. La loro diversità è diventata ricchezza. Sperimentano l’amicizia, il volersi bene senza condizioni, che la pace è possibile. Non giocano più alla guerra, giocano alla pace. Bimbi nuovi, speranza di un tempo nuovo».

Per scrivere questo articolo ho chiesto a tanti bimbi che sono già usciti della nostra scuola cosa si ricordassero. La cosa bella è che ognuno di loro, a modo suo, con stupore mi ha parlato di “volersi bene” e della parola “insieme”.
Oggi gli adulti si chiedono: «Un bambino cosa può capire? Ma questa pace la stiamo allevando veramente?». Beh, se è quello che portano nel cuore una volta usciti dalla nostra scuola, se la parola insieme fa da comune denominatore, se già in questo tempo della loro vita sanno cosa vuol dire volersi bene, allora dico sì!


Sara Casagrande
NP ottobre 2020

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