All'ultimo posto

Pubblicato il 20-06-2020

di Lucia Capuzzi

In America latina la pandemia colpisce soprattutto poveri e baraccopoli.

 

L’America Latina è il nuovo epicentro della pandemia. Parola dell’Organizzazione mondiale della sanità, preoccupata dal ritmo di accelerazione della trasmissione e della mortalità nel Continente. Nelle ultime settimane, questo ha doppiato l’incremento del contagio in Europa e negli Stati Uniti. Il virus, dunque, dopo aver flagellato l’Asia, il Vecchio mondo e la locomotiva del Nuovo, attacca “l’altro Occidente”, come gli storici amano definire la regione a sud del Rio Bravo. In cima alla classifica resta arroccato il Brasile, dove si concentra circa la metà degli infettati e dei decessi.

 

Il Gigante del Sud ha ormai scalzato la Russia dalla seconda posizione nella classifica mondiale e si ha aggiudicato il drammatico primato di più colpito dopo gli Usa, nonché il sesto con più vittime. E, in base a uno studio dell’Università di Washington, i morti potrebbero quintuplicare entro l’inizio di agosto, superando quota 125mila. Critica anche la situazione del Perù, secondo per contagi in America Latina. E in Cile, dove ormai le terapie intensive sono piene all’86 per cento, mentre nella capitale sono già a quota 95 per cento. All’interno di ogni Paese, il contagio non si distribuisce in modo uniforme. Il cuore – come abbiamo visto in Cina, in Europa e negli Usa – sono gli spazi urbani, luoghi di scambi economici e sociali. In America Latina, don è, però, l’intera superficie delle città a divenire bersaglio del virus. Trasmissione e mortalità si concentrano nelle sterminate baraccopoli del Continente.

 

Un recente studio condotto su Buenos Aires lo ha confermato.  Nella capitale e attigui municipi-dormitorio – dove c’è l’80 per cento dei casi nazionali –, il 40 per cento dei malati si concentra nelle villas, come gli argentini chiamano gli insediamenti informali, dove risiede tra l’8 e il 9 per cento della popolazione. Nell’ultima settimana di maggio, Villa Azul, nella cintura urbana della capitale, è passata da 0 a 196 casi, tanto che le autorità sono state costrette a imporre un cordone sanitario intorno all’insediamento. Una misura estrema, dovuta al timore della propagazione del contagio nella vicina Villa Itaití,  che ha molto colpito l’opinione pubblica. Costringendola a prendere atto del dramma, troppo spesso invisibile, delle baraccopoli. La pandemia non fa che enfatizzare la loro fragilità strutturali, dovute al disinteresse governativo. In queste zone, dove l’acqua arriva a singhiozzo, l’esortazione a lavarsi le mani spesso diventa una beffa crudele. Alle carenze idriche si sommano il sovraffollamento, l’impossibilità di restare a casa dati gli spazi angusti e la necessità ineludibile di lavorare.

 

La gran parte degli abitanti delle baraccopoli sopravvive dall’economia informale. Sono lustrascarpe, venditori ambulanti, domestici e muratori in nero, pagati a giornata. Oltretutto per spostarsi sono costretti ad utilizzare i mezzi pubblici, perennemente stracolmi. Un mix esplosivo in tempo di Covid. Che spiega perché in America Latina il coronavirus sia una “malattia dei poveri”. Mentre in Europa ha colpito in prevalenza gli anziani, nel Continente più diseguale del pianeta, la discriminante sociale è cruciale. Arrivato con i viaggiatori di classe media alta, a tre mesi dalla scoperta del primo caso, il Covid s’è spostato, in termini di contagio e mortalità, sui settori popolari urbani  e, in particolare, su quanti vivono negli insediamenti informali, cioè un quinto dei latinoamericani, 117 milioni di esseri umani. Non è, dunque, l’America Latina l’epicentro della pandemia, bensì le sue baraccopoli.

 

Il 45 per cento degli ottomila positivi di Bogotà risiede negli agglomerati di Kennedy, Susa e Bosa, i più poveri, che sono anche la gran parte dei morti. Non sorprende. La diseguaglianza riguarda anche l’accesso alle cure. I sistemi di salute pubblica colombiani – come nel resto del Continente - sono estremamente carenti. E sono sempre i quartieri popolari quelli che stanno pagando il prezzo più alto. In quasi tutte le casupole degli insediamenti precari di Bogotà, spicca un drappo rosso. Un modo, nato dalla fantasia popolare, con cui le persone chiedono aiuto alimentare. 

 

Il linguaggio dei colori è diffuso in tutte le baraccopoli latine. In Salvador e Guatemala, ad esempio, la bandiera rossa significa mancanza di medicine mentre quella bianca di cibo. E proprio sventolando un drappo bianco, i residenti infrangono la quarantena per andare a rovistare nei rifiuti a caccia di qualcosa da mangiare. Non hanno altra scelta e, sventolando la bandiera candida, chiedono alle autorità clemenza. 

 

Nel quartiere Cangallo di Lima, in Perù 475 persone su 656 sono risultate positive: tutti sono indigeni Shipibo espulsi dalle loro terre e rifugiati nella capitale in cerca di sopravvivenza. 

 

Vedi il focus Riflessioni in tempo di Covid 19

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