Ai confini dell'umanità

Pubblicato il 16-03-2022

di Daniele Lombardi

Oggi è il confine tra Polonia e Bielorussia. L'anno scorso era Lipa, campo incendiato al confine tra Bosnia Erzegovina e Croazia. E gli anni prima erano Horgos, al confine tra Serbia e Ungheria, oppure Sid, al confine tra Serbia e Croazia, oppure ancora Idomeni, al confine tra Macedonia del Nord e Grecia.

Ormai da tanti (troppi) anni, in qualche angolo d'Europa si stanno verificando regolarmente delle emergenze umanitarie lungo le rotte migratorie, con conseguenti violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone in transito, e col la messa a repentaglio della vita e della salute di chi si sta muovendo. Tra cui molte famiglie, con donne e bambini piccoli. A conti fatti: un vero fallimento, se pensiamo che l'Europa – e in particolare l'Unione Europea – si considera la culla dei diritti, delle libertà, della pace.

Il punto di osservazione in cui mi trovo, la Bosnia Erzegovina – dove esattamente un anno fa (era il 23 dicembre 2020) siamo stati testimoni della crisi umanitaria al campo di Lipa –, permette di vedere bene come sta funzionando tutto il fenomeno migratorio lungo la Rotta Balcanica.
Guardando da un lato – verso Oriente e verso sud – si vedono i Paesi di provenienza dei migranti in transito: l'Afghanistan, il Pakistan, la Siria, l'Iraq, la Palestina, quelli del Nord Africa, la Somalia, l'Eritrea. Nomi di luoghi martoriati, spesso ancora in guerra, insicuri, estremamente vulnerabili. In cui la situazione non sembra migliorare con il passare del tempo, anzi – pensiamo solo a cosa è successo quest'estate in Afghanistan.

Guardando dall'altro lato – verso occidente – si vedono invece i Paesi che i migranti vorrebbero raggiungere: l'Italia, l'Austria, la Germania, la Francia, la Polonia, il Nord Europa. Paesi che, per un crudele paradosso storico, ricordano con gioia la caduta del Muro di Berlino, ma al tempo stesso costruiscono oggi altri muri, quelli alle proprie frontiere. Paesi così ossessionati dalla “sicurezza” e dal “controllo” da essere disposti a isolarsi e a chiudersi sempre più in un “fortezza”, pur di non far entrare nessuno nel proprio territorio.
E – guardando nel mezzo – si vedono infine gli Stati dell'Europa Orientale,
per lo più Paesi extra-UE: la Serbia, la Macedonia del Nord, l'Albania, la Bosnia Erzegovina, oggi anche la Bielorussia. Paesi fragili, in cui le transizioni dai regimi comunisti non sono ancora state completate, che faticano moltissimo a risolvere i propri problemi sociali, sanitari, economici. E che oggi si trovano a dover fare i conti anche con la sfida di questi nuovi flussi migratori, senza sapere bene come gestirli.

Vista da qui, dunque, questa Rotta sembra un grande gioco a perdere, per tutti. Sembra cioè che nessuno Stato e nessuna comunità ci “guadagni” da questa situazione: né i Paesi di provenienza, né i Paesi di destinazione, né chi si trova nel mezzo. E non ci guadagnano neppure i migranti stessi, sottoposti a violenze continue, traumi psicologici, privazioni. Ci guadagnano solo le mafie e i trafficanti, che si fanno ben pagare per far attraversare illegalmente i vari confini a chi migra.

Stando qui lungo la Rotta viene allora normale chiedersi: ma è mai possibile che questo sia l'unico modo di gestire il fenomeno migratorio? Davvero nel Terzo Millennio non siamo in grado di pensare e realizzare un sistema diverso, più ordinato, più “logico”, più umano?
Una luce di speranza, lungo la Rotta Balcanica, è però tenuta accesa da tante esperienze di solidarietà e di aiuto da parte di singoli cittadini, di volontari, di associazioni. Guardando bene, si scopre infatti che sono tantissime le persone che – magari nel silenzio dei media – ogni giorno portano un abbraccio a chi migra, offrono un pasto caldo, regalano una parola di conforto o un sorriso.

Anche qui in Bosnia Erzegovina sono decine i volontari e gli operatori sociali (locali e internazionali) che hanno deciso di dedicare il proprio tempo, le proprie energie, le proprie competenze lungo la Rotta Balcanica. E altre centinaia di persone e organizzazioni dall'Italia (Sermig, Caritas, tante parrocchie e comunità), in questo anno passato dalla crisi di Lipa, hanno voluto dimostrare la loro attenzione e vicinanza ai migranti in Bosnia Erzegovina tramite generose donazioni.

Viste dalla Rotta, quelle persone sono davvero il volto migliore dell'Europa. Sono i volti dell'accoglienza e non dei muri, dei diritti e non delle violazioni, della speranza e non dell'abbandono.


Daniele Bombardi
Regional coordinator in South East Europe, Caritas Italiana
NP dicembre 2021

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