Il grande assente

Pubblicato il 27-01-2023

di Mario Deaglio

Il mondo va male per l’effetto congiunto di vari tipi di crisi, da quella ambientale a quella economico- sociale, dalle guerre al Covid. Siamo di fronte a un’inflazione di nuovo tipo, provocata dall’indebolirsi delle “catene globali del valore” che, in pochi decenni, hanno trasformato il mondo in un unico grande mercato; e dietro l’inflazione fa capolino la minaccia di una stagnazione-recessione produttiva con la prospettiva di un forte aumento della povertà in ogni parte del pianeta. Governi e banche centrali, organizzazioni internazionali e specialisti si affannano a cercare di mettere a punto nuove cure economiche per uscire da questa brutta situazione ma non hanno, per ora, alcuna ricetta vincente. L’attuale “malattia economica” è come un’epidemia causata da un virus poco conosciuto e contro il quale, per ora, non esiste alcun vaccino; solo vecchie medicine, a cominciare dal rialzo dei tassi di interesse, che, per essere efficaci – e con l’attuale situazione economica lo sono solo moderatamente – devono prima spingere il mondo verso un periodo relativamente lungo di sofferenza economica, e non solo.

Da questo quadro di strumenti per uscire dalla crisi (particolarmente pronunciata in Italia, il Paese avanzato che è cresciuto di meno negli ultimi 20-25 anni), il terzo settore è il grande assente; non perché non si presentino ad associazioni di volontariato occasioni di lavorare senza fini di lucro in un’economia che persegue il lucro, anzi. Il PNRR, tanto per fare un esempio, apre orizzonti di attività anche al terzo settore. Il terzo settore, però, è considerato un elemento accessorio e si parte dalla premessa non dichiarata che solo le imprese private, che tendono al profitto e le imprese pubbliche, alle quali possono venire assegnati di volta in volta svariati obiettivi di produzione e di occupazione, possano veramente far ripartire l’economia.

Si tratta di una visione formalmente corretta, ma che in realtà si dimostra limitata in quanto non tiene conto di elementi strutturali importanti della nostra società e della nostra economia.
Esse sono caratterizzate da un insieme di problemi – alcuni di lungo periodo, altri che nascono improvvisamente – che il mercato da solo non può risolvere. E l’amministrazione pubblica ci riesce solo in parte e con un costo collettivo molto elevato.
Questi problemi riguardano, in particolare, le povertà: quelle “vecchie”, naturalmente, sulle quali si fa qualcosa ma con fatica e difficoltà e quelle “nuove”, legate alle trasformazioni dei modi di lavorare e che stanno portando a una posizione del lavoro più debole del passato nella distribuzione del valore aggiunto.

Un mondo tutto preso dall’analisi dei costi, dalla “spartizione della torta”, sembra aver largamente perduto il concetto di gratuità che pure è alla base di molti progressi umani e civili, come il Vangelo abbondantemente racconta. Eppure la gratuità spunta come un fiore nel deserto quando uno meno se l’aspetta, come si è visto con l’amplissima partecipazione alle iniziative di aiuto ai profughi ucraini e con molteplici iniziative di solidarietà umana, che raramente ricevono l’attenzione della cronaca, come il supporto ai giovani che, anche quando hanno un lavoro regolare, percepiscono un reddito che li fa vivere male e non consente loro di metter su famiglia.

Per fortuna, accanto ai “bisogni nascosti” esistono infatti anche “disponibilità nascoste”. Non è vero che l’uomo sia individualista e materialista al punto di esprimere tutti i suoi desideri in termini monetari e cercare, quindi, di rendere massimo il proprio reddito e il proprio capitale, come sostiene (o meglio, sosteneva) un certo “iperliberismo”. Esiste una gran quantità di energie umane (e anche monetarie) pronte a mettersi a disposizione per obiettivi che non comportano alcun tornaconto personale (oppure, per raggiungere i quali il tornaconto personale non è l’elemento principale). Ci sono tante cose che molta gente fa direttamente per aiutare gli altri e anche una certa quantità di risparmi, grandi e piccoli, pronti a partecipare a progetti sociali, come quelli che vanno sotto il nome di crowfunding, il “microfinanziamento dal basso” senza attendersi un tornaconto, per lo meno in tempi brevi.

Gli elementi principali dell’attività del terzo settore appaiono suddivisi in due grandi categorie.
La prima è quella dell’impegno a carattere personale: la consolazione che si offre a chi ha subito una disgrazia, l’assistenza ai malati che non hanno nessuno, l’insegnamento ai bambini svantaggiati. Come tutto ciò che è a titolo gratuito, queste attività non figurano tra quelle tenute sotto osservazione dagli economisti.
Sono però essenziali per spiegare perché alcune società, alcuni Paesi riescono a reggere in situazioni difficili mentre altri piombano nel disordine e rischiano di andare in pezzi.

La seconda categoria è quello dell’organizzazione di attività economiche, di solito apparentemente secondarie, in grado di occupare con efficienza determinati spazi produttivi; in questo senso abbiamo una grandissima varietà di organizzazioni, prevalentemente strutturate in società cooperative o simili, in grado di sostituire o integrare attività di carattere pubblico che, altrimenti, sarebbero troppo macchinose o costose da far funzionare e che il settore pubblico delega all’esterno, pagandole regolarmente. Sono moltissime: dalla raccolta dell’immondizia alla gestione di biblioteche e attrezzature sportive pubbliche che altrimenti rimarrebbero chiuse, alla preparazione di pasti per le scuole e via discorrendo. L’obbiettivo è generalmente duplice: da un lato risolvere carenze, soprattutto degli enti locali – e quindi arrecare un beneficio alla società – e dall’altro creare posti di lavoro per i dipendenti e i soci delle società cooperative, spesso in situazioni personali difficili.

Questo è il “terzo settore” per il quale oggi manca una politica.
Esso compare sporadicamente nei vari decreti economici e in strumenti amministrativi ma forse potrebbe essere trattato come uno degli elementi essenziali per il funzionamento della società. Abbiamo, in altre parole, una riserva di energie sommerse che può fare la differenza tra l’aumento, che oggi si osserva, delle diseguaglianze e delle tensioni sociali e la realizzazione di un società in grado di recuperare vari livelli di umanità che abbiamo perduto nella ricerca spasmodica di possedere sempre più “cose”.
 

Mario Deaglio
NPFOCUS
NP novembre 2022

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