Chiamati a guardare in alto

Pubblicato il 29-08-2020

di Rosanna Tabasso

Il 4 maggio è un anno dalla partenza di Maria per il Cielo. Quando una persona cara si allontana dalla dimensione terrena, i giorni senza di lei sono interminabili, paiono non passare mai. Nello stesso tempo, a guardarsi indietro, quest’anno è volato via rapidissimo, nonostante i dolori e le prove che si sono susseguite e nonostante questi ultimi mesi di pandemia. Credo che Maria sia stata convocata d’urgenza in Cielo e, dopo di lei altre nostre care mamme, amiche, donne di grande fede: Maria, Valeria, Piera, Maria… Credo siano state chiamate per aiutarci a “guardare in alto”, a intraprendere in fretta il cambiamento di mentalità che la Parola di Dio chiede a tutti: «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7).

Il Signore ci chiede di sollevare lo sguardo, fidarci di lui per fare di noi “un popolo nuovo”. Ce lo chiede anche la nostra Regola, in una delle pagine dedicate ai sacerdoti della Fraternità ma anche a tutti noi: un popolo nuovo, capace di far «conoscere Dio attraverso la sua testimonianza» perché ogni persona, bambino, giovane, adulto, anziano, in ogni momento della sua vita, possa ritornare a Dio, sentirsi amato, tornare ad amarlo o avere l’occasione di iniziare un rapporto con lui. La testimonianza cui siamo chiamati non si improvvisa, si prepara, anzitutto vivendo ogni momento con Dio nel cuore, vivendo alla sua Presenza, assorbendo l’esperienza di chi ci ha preceduto e facendone tesoro.

Come ha fatto Maria ad aiutarci in questa “preparazione permanente”, lei che ha sempre scelto il silenzio e la discrezione? Maria ha parlato sempre con la vita quotidiana: ha lavorato per un mondo più giusto, per la vita e per la pace, ha fatto bene il bene, non è mai stata “contro” nessuno, non si è mai imposta con prepotenza, ha vissuto la rettitudine come normalità, ha amato tutti, ha avuto compassione per i deboli, ha aiutato la gente a sperare. Sono solo alcuni comportamenti che la Regola del Sì indica ai sacerdoti della fraternità e che Maria ha vissuto con naturalezza ma a lei si potrebbero attribuire molte altre sfumature di Vangelo vissuto, perché era una persona integra e tutto di lei, dal carattere alla vita interiore, era da tempo in armonia.

Nei mesi dell’ultima malattia, il Signore ha messo il suo sigillo sulla testimonianza silenziosa della vita di Maria e le ha permesso di consegnarci in modo inequivocabile l’eredità preziosa del suo essere, con Ernesto, fondatrice del Sermig: la forza interiore, la preghiera, la spiritualità della Presenza, l’amore che lo Spirito Santo aveva impresso in lei. Abbiamo così visto realizzato in una persona, da viva e da morta, ciò che lo Spirito Santo può operare in chi crede, in chi gli dà fiducia, in chi si abbandona. È scritto nella Regola, Maria l’ha vissuto e in questi giorni ce lo ricorda: «Senza la grazia dello Spirito il bene non si attacca all’anima. Senza lo Spirito Santo non c’è uomo nuovo, umanità nuova, trasparente all’Amore, grata a Dio per la sua bontà». Nei mesi della sua malattia Maria ci ha radunati tutti attorno a sé e ora comprendiamo appieno il significato di quei centotredici giorni: ci ha fatto fare un cammino che ci ha preparati ad entrare in una nuova stagione del Sermig.

Nell’ultima intervista fatta, le era stato chiesto cosa sperava per il futuro dell’Arsenale. Lei, guardando lontano, ha risposto: «Spero che diventi un luogo di preghiera o comunque di riflessione per tanti… Dove tante persone trovino la serenità, la pace». Chissà se l’ha visto prima di noi. Ciò che è certo è che ci ha portato a sentire nostro questo desiderio e in questi tempi di isolamento, di grande incertezza e paura del futuro, a desiderare di rispondere con la nostra vita al bisogno della gente di ritrovare il senso delle cose, di ritrovare Dio. Sono i nuovi tempi della Chiesa scalza che lo Spirito Santo ci sta insegnando a vivere.

Rosanna Tabasso
NP maggio 2020

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