Il nemico dei piedi
Pubblicato il 27-04-2024
C’è chi ha classe e chi purtroppo è destinato alle supplenze. Se fossi stato un insegnante sarei certamente rientrato nella seconda specie (anzi ne sarei stato una sottospecie). Ma non insegno quindi posso permettermi di far finta di avere classe, e di avere una coiffeuse personale pazzesca che, mentre mi taglia i capelli mi parla (udite bene) di Schopenhauer (capito?). Questo grandissimo filosofo tedesco, nei miei liceali ricordi, è passato alla storia per il suo pessimismo cosmico.
In tempi più recenti ha certamente ispirato Mr. Murphy nell’enunciare le sue celebri e ineffabili leggi. Lo studioso prussiano aveva però sulla musica un’idea ben precisa: «La musica non è affatto come le altre arti, l’immagine delle idee, ma è invece immagine della volontà stessa… L’effetto della musica è tanto più potente e penetrante di quello delle altre arti, perché quelle esprimono l’ombra, mentre questa esprime l’essenza». In verità il suo pensiero era molto più complesso di così, il che sembra contrastare con la musica stessa che io trovo un linguaggio emozionalmente semplice, latore di messaggi soprannaturali e terreni, eterni e caduchi, chiari e scuri, luminosi e notturni, statici e ballabili. Come il Tango, oggi diventato un po’ una moda e definito da Enrique Santos Discépolo come «Un pensiero triste che si balla». Triste come la vita di certe persone, di certe zone, di certi ambienti.
Jorge Luis Borges, grande appassionato di questa danza originaria della Buenos Aires di fine Ottocento, vi dedicò un ciclo di conferenze, raccolte in un volume intitolato (con sorprendente originalità) Il tango. Ci racconta come nacque negli stessi luoghi dove pochi anni dopo sarebbe sorto il jazz statunitense, ovvero bische, bordelli, luoghi malfamati della città, in cui le persone si ritrovavano per giocare d’azzardo, bere, incontrare amici. La vera attrattiva di questo ballo, secondo Borges, sta nel suo carattere trasgressivo, «In quella sensazione di libertà che accende tutti i tipi di emozione».
In questi giorni ricorre l’anniversario della nascita di Astor Piazzolla, detto El Gato, grandissimo compositore che ha innovato questa musica tanto che oggi il suo nome ne è per noi quasi un simbolo. «La mia musica è triste perché il tango è triste. Il tango ha radici tristi e drammatiche, a volte sensuali, conserva un po’ di tutto… anche radici religiose. Il tango è triste e drammatico ma mai pessimista». Partendo da queste suggestioni El Gato seppe creare uno stile unico, un cocktail di tango, jazz ed elementi sperimentali che portò alla nascita del Nuevo tango, dal sound inedito grazie anche alla presenza, accanto agli archi, di strumenti come l’organo Hammond, il flauto, la marimba, la batteria, le percussioni, il basso e la chitarra elettrica. Uno dei suoi brani più celebri (scritto a Milano nel 1974) è Libertango, (mix delle parole Libertad e Tango), definito dai tangueros più ortodossi imballabile. Piazzola, incurante dei dogmi del tango tradizionale, si definì infatti nemico dei piedi. Forse è per questo che a noi del Laboratorio del Suono sta così simpatico, tanto che ci siamo permessi (con la nostra Orchestra) di cimentarci proprio nel suo capo d’opera, brano che (ne siamo certi) metterebbe di buon umore perfino Murphy e Schopenhauer.
Mauro Tabasso
NP marzo 2024