Deserti metropolitani

Pubblicato il 07-07-2024

di Mauro Tabasso

Per la cortigiana Violetta (protagonista femminile della Traviata di Giuseppe Verdi), il piacere è il solo farmaco capace di lenire il male di vivere. Nel celebre brindisi del primo atto è lei stessa a dire che «Tutto è follia nel mondo ciò che non è piacer». La ricerca del divertimento (dal latino divertere, ossia allontanare) appare l’unica via di fuga dalla solitudine e dall’inquietudine che accomuna tutti gli esseri umani che, come ci ricorda il filosofo francese Pascal, «non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio, per essere felici, di non pensarci».

Spente le luci della festa e rimasta sola, Violetta si scopre turbata dalle parole di Alfredo e inizia a dialogare con la propria anima, chiedendole se per una donna come lei, corteggiata da tutti e da tutti disprezzata, sarebbe possibile conoscere finalmente la gioia di un amore corrisposto. Ma subito dopo essersi lasciata andare per un attimo alla speranza, Violetta torna sui suoi passi, consapevole di essere una donna «sola, abbandonata in questo popoloso deserto che appellano Parigi». Forse non le resta che gioire e morire nel vortice del piacere. La cabaletta Sempre libera degg’io è un crescendo di scale e gorgheggi sempre più acuti, accompagnati dagli arpeggi e pizzicati dell’orchestra: la messa in scena di un’allegria sopra le righe, il solo ruolo che la società parigina le impone di interpretare, una coazione al divertimento che copre con una spessa mano di vernice qualsiasi aspirazione interiore alla ricerca della vera felicità. Verdi nella Traviata dipinge un mondo senza compassione, quello della grande città, fatto di indifferenza, numeri primi che non riescono mai a incontrarsi.

Il deserto della metropoli, cui è negata persino la pace del silenzio, torna a fare da sfondo nel terzo atto: Violetta giace a letto, ormai prossima alla fine, mentre «tutta Parigi impazza» per il Carnevale, che prorompe in un allegro vivacissimo, con un coro fuoriscena dedicato al bue grasso, in un contrasto fortissimo fra la felicità indifferente, euforica e superficiale dei parigini in festa e il dramma intimo della protagonista, che rivolge il pensiero a quanti infelici soffrono nel tripudio generale.

Oggi più che mai nelle nostre città viviamo soli, invisibili, disconnessi, indifferenti ai drammi che si svolgono sotto ai nostri occhi, al punto che secondo lo psicologo Giacomo Dacquino «in nessun luogo la solitudine è più intensa che nella moltitudine». Nel suo libro Legami d’amore spiega come esistere ha un significato solo se si è presenti nel cuore degli altri. La vita relazionale dei nostri giorni è fatta spesso di rapporti superficiali e intercambiabili, un’abbuffata di contatti che tenta di placare quella fame di felicità che si può soddisfare solo con una connessione vera, la stessa che ricercava disperatamente Violetta, tragicamente consapevole di sprecare il tempo della sua vita tra “aride follie”. Il suo sacrificio oggi ci parla ancora, mostrandoci la via per uscire dal deserto caotico del nostro quotidiano: connetterci all’altro in profondità, disposti come lei a uscire dal cono d’ombra di una felicità vana e illusoria, togliendoci le maschere che nascondono il nostro io più vero e profondo.


Mauro Tabasso
con Valentina Giaresti
NP maggio 2024

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