L'io che è già noi

Pubblicato il 18-07-2021

di Rosanna Tabasso

Conviviamo con il Covid da un anno e pur avendo davanti a noi ancora un tempo di limitazioni, sentiamo che è importante ripartire ricostruendo ciò che la pandemia ha incrinato: il tessuto sociale. Non che abbia fatto tutto da sola, semplicemente ha colpito ciò che già traballava: quel "noi" che è la base di ogni comunità. Da quanto tempo ce lo ripetevamo? Non c'è più senso di comunità, manca la partecipazione, siamo chiusi, individualisti, egoisti. Poi siamo stati costretti all'isolamento, al distanziamento ed è stato il colpo di grazia. Adesso abbiamo voglia di tornare a come vivevamo prima delle chiusure, ma tornare a riunirci non basta a ritrovare il senso, l'appartenenza ad una comunità. Bisogna ripartire dalle motivazioni di saperci fratelli, custodi gli uni degli altri, custodi del luogo e del tempo che viviamo, così come siamo stati pensati da Dio. C'è una fraternità che va rinsaldata.

Concretamente ripartiamo dalla prossimità, dalle persone che abbiamo vicino, dal territorio in cui viviamo, dalle associazioni, dai gruppi, dalle persone con cui condividiamo già molto per rinforzare il bene di cui tutti hanno bisogno, per ripensare cosa possiamo fare e per chi; come lo possiamo fare e con chi... C'è bisogno di modificare la qualità della vita sociale, di progettare un cambiamento dal basso. C'è bisogno di incontrarci per parlare tra noi di come vediamo la vita, di come pensiamo il futuro, di come possiamo aiutarci ad affrontare insieme la crisi che viviamo, le sfide che ci attendono. Passare "dall'io al noi" è il futuro come Dio lo desidera e come la sua Parola ci indica. Un pugno di persone che hanno in comune il desiderio di bene possono molto: vedono i bisogni del loro territorio, guardano le persone, riconoscono le necessità dei più deboli e cominciano a capire di poter fare qualcosa che produce un bene diffusivo.

Se ripartiamo da qui allora forse passando sotto i portici di via Roma, a Torino o in altre città, cominceremo a guardare con occhi diversi chi dorme per strada, su letti di cartone e coperte di fortuna. E non sarà lo sguardo distratto o indifferente che abbiamo avuto fino ad ora, ma sarà l'incontro con persone. Chi vive sulla strada ci mette davanti agli occhi contraddizioni, ferite, sbagli che non vorremmo mai vedere, in cui tutti possiamo cadere o almeno venirne sfiorati da qualcuno vicino a noi. Non si può generalizzare, non sono tutti uguali, ogni persona ha una storia complessa che l'ha portato lì. Molti per esempio sono sulla strada perché non si fidano più di nessuno. Ricostruire un rapporto di fiducia può invertire la tendenza e ognuno di noi può fare la differenza. Un incontro può cambiarci la vita; a noi è successo tante e tante volte. Se consideriamo che l'altro è persona, possiamo andare oltre le prime risposte frettolose: c'è già chi si occupa di questi problemi… Ci deve pensare lo Stato… Cosa posso fare io da solo, giovane, appena sposato, con la casa piccola… In fondo sono pensieri ragionevoli e sintetizzano la complessità della vita di oggi, in cui per affrontare i problemi non ci si può improvvisare, ci si deve preparare.

Se riparte il noi, ciò che da soli non possiamo fare, lo potremo fare insieme e un incontro casuale può cambiare la vita nostra e di tanti: cercare il confronto con persone competenti che hanno già esperienza, decidere di scendere in campo come un "noi", piccolo gruppo di amici, di vicini di casa, di parrocchiani, costruire un progetto, farsi carico di una persona e provare ad aiutarla a riprendere in mano la sua vita. Ci vuole voglia di bene, voglia di capire, di formarsi e poi costanza, perché quando si apre la porta ad una persona non la si può richiudere.

La volontà di un pugno di persone di occuparsi di qualcuno conosciuto sulla strada può mettere in movimento un quartiere, una parrocchia e cambiare l'orientamento di un territorio. Certo, le Istituzioni se ne devono occupare ed è nostro dovere di cittadini sollecitarle a farlo, ma c'è anche bisogno della nostra prossimità, della nostra iniziativa, del nostro crederci. I nostri Arsenali sono luoghi di ristoro, rifugi sicuri per tanti che non hanno altro che la strada ma, come ci diceva un ragazzo, ce ne vorrebbe uno in ogni città, anzi in ogni quartiere delle nostre città... A quel ragazzo abbiamo risposto che gli Arsenali si possono copiare e si possono frantumare in mille iniziative di bene, anche piccole e diffuse ovunque.

Rosanna Tabasso
NP marzo 2021

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