L’amicizia sociale

Pubblicato il 29-03-2024

di redazione Unidialogo

L’economista Stefano Zamagni all’Università del Dialogo Sermig

La coesione sociale non è solo un fatto economico, ma un progetto del cuore e dell’intelligenza, una visione in cui credere e per cui spendersi. Perché non esistono ricette automatiche per combattere le disuguaglianze e sentirsi meno soli. Servono piuttosto una nuova mentalità e approccio: quell’amicizia sociale che può rappresentare davvero una rivoluzione. L’economista Stefano Zamagni lo sostiene da una vita. Docente all’Università di Bologna dal 1979, è considerato uno dei padri degli studi sull’economia civile. Già presidente dell'Agenzia per il Terzo settore e della Pontificia Accademia delle scienze sociali, Zamagni sostiene da tempo l’urgenza di un cambiamento. Stimolato dalle domande dei giovani, ne ha discusso lo scorso 25 marzo nell’ambito di un incontro dell’Università del Dialogo. Qui alcuni spunti della sua riflessione.

«Qualche anno fa ho parlato di aporofobia, paura del povero e del diverso che può sfociare in odio. Per noi italiani è un fenomeno recente, dal momento che la nostra cultura è sempre stata plasmata dalla compassione. L’odio sociale è pericolosissimo perché è alla base di un fenomeno americano che arriverà presto da noi: il singolarismo, l’estremizzazione dell’individualismo, per certi aspetti il suo superamento.

«Il singolarismo punta a recidere ogni legame tra l’individuo e il suo contesto. Ognuno deve fare da sé e per affermare te stesso devi cancellare il legame con il contesto sociale a cui appartieni: famiglia, scuola, gruppi. Insomma, nessuna forma di collaborazione o cooperazione. Gli altri sono solo un mezzo di supporto per raggiungere i propri obiettivi. Tale singolarismo è nemico giurato dall’amicizia sociale e produce effetti devastanti come la solitudine esistenziale».

«Non abbiamo bisogno solo di cose. Uno dei beni più importanti (oltre a quelli comuni) è quello relazionale. L’amicizia e il matrimonio sono beni relazionali per eccellenza. Prima ne parlavano solo i sociologi, ora li studiano anche gli economisti. Noi abbiamo beni materiali in abbondanza, ma stiamo diventando poverissimi in termini relazionali. Il singolarismo ne è una delle principali cause. Ci sono esperimenti sociali che dimostrano che chi si occupa prima del bene altrui ottiene per reciprocità anche il proprio bene. Reciprocità non è scambio, non è una questione di quantità: il valore è nell’intenzione. Il do ut des vale per i beni privati, ma per il bene relazione vale un’altra logica. Solo così costruiremo società più fraterne».

Redazione UDD


Incontro completo
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Foto: Renzo Bussio
 

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