Eritrea, accanto alla gente

Pubblicato il 23-07-2023

di Mauro Palombo

Lontano dai clamori della cronaca quanto lo è stata la devastante guerra – almeno 600mila e più vittime e una immensa orribile crisi umanitaria –, si è avviato il processo di pacificazione del Tigray, iniziato con la firma il 2 novembre 2022 tra Etiopia e TPLF di un “accordo di cessazione permanente delle ostilità”. Confidando che proceda, tra tante armi in circolazione e fortissimi risentimenti, saranno certo necessari molti e molti anni per radicare qualcosa come una effettiva pace.

La speranza è che il vento del cambiamento possa soffiare anche verso l’Eritrea, che, come alleato dell’Etiopia, relativamente occulto ma forse decisivo, è l’altro protagonista di questo ennesimo cruento capitolo della storia recente del Corno d’Africa. La guerra ne ha segnato a lungo la storia. Per trent’anni, dal 1961 al 1991, in Eritrea si è combattuta la lotta per l’indipendenza dall’Etiopia, che dopo la Seconda guerra mondiale l’aveva assorbita. Subito dopo, alcuni anni di grande serio impegno per recuperare le condizioni del Paese, ma già dal 1998 nuovi duri scontri con l’Etiopia per dispute di confine; conflitto risolto solo nel 2018, per iniziativa del primo ministro etiope Dr. Abiy Mehamed e il presidente dell’Eritrea Ysayas Afewerki.

La minaccia dell’invasione e altri motivi sono stati pretesti per mantenere inalterato uno Stato a partito unico, dove il potere è interamente concentrato nelle mani del presidente, il cui mandato prosegue dal 1991. La costituzione esiste, ma non è mai stata di fatto applicata. La società è molto militarizzata. Il servizio militare obbligatorio inizia a 17 anni, ed ha durata indefinita; l’ultima classe delle superiori viene fatta nel campo di addestramento, poi ognuno viene registrato in un reparto e “i migliori” vengono mandati nei “collegi”, che sono la sola università in Eritrea.

Molti giovani, isolati, e non vedendo per loro nessuna prospettiva di crescita, hanno cercato la fuga. Viaggi pericolosi in cerca di un luogo migliore, ma il deserto, i predoni, il mare… tanti ne finiscono inghiottiti. Si calcola in 6 milioni la popolazione dell’Eritrea, ma sul territorio oggi saranno quattro milioni, al massimo.
Anche questo pesa sulla situazione dell’economia, che potrebbe contare su buone risorse minerarie: oro, rame, gas e altro ancora, ora in mano ai cinesi e altre compagnie estere. Il settore industriale è limitato al tessile, specie del cotone, un tempo coltivato nel Paese ma oggi importato. Ci sono potenzialità, ma la situazione dell’economia è assai precaria. La maggior parte della gente vive di agricoltura e pastorizia, con metodi tradizionali. Poca automazione, solo il governo può importare materiali.
L’economia è stata poi ancora duramente logorata dalla pandemia del Covid, con l’imposizione di un lungo tempo di chiusura. La guerra nel Tigray ha ancora salassato le risorse nazionali, rendendo difficile la vita della popolazione; oltre a spegnere molte giovani vite spinte nei combattimenti.

La Chiesa cattolica è una piccola minoranza, intorno al 3-4%, rispetto alla maggioranza ortodossa e alla forte componente musulmana. Ma fa tutto ciò che può e, come al solito, verso tutti: per questo da tutti è apprezzata e benvoluta. Ciò che può oggi è molto meno che in passato; prima la nazionalizzazione di tutte le cliniche e ambulatori, e tutte le scuole poco dopo. Chiaramente con pesanti ripercussioni verso chi di questo servizio beneficiava, i più bisognosi. La Chiesa continua a svolgere la sua missione di evangelizzazione. E allo stesso tempo, continua a restare vicina alla gente, che resta relegata nella povertà, in una precaria scarsità. Portando, per quanto possibile, aiuti di emergenza; mantenendo nei villaggi presenza per educare all’igiene e dare qualche servizio alla salute. Offrendo opportunità di formazione come consentito, promozione delle donne con laboratori per loro, assistenza di persone anziane.

Non manca il campo di lavoro, mancano le possibilità, e i mezzi. Come Sermig vogliamo continuare ad alimentare le speranze di una evoluzione, con tutto quanto ci può essere possibile. In particolare per continuare l’assistenza nei villaggi dove si chiedono prioritariamente mezzi di trasporto e lavoro – asini e cammelli – e acqua sicura per il consumo, scavando nuovi pozzi e riabilitando altri non più utilizzabili, ovvero i loro pompaggi fotovoltaici. Risorse tanto semplici, quanto essenziali, per preservare le vite, e l’auspicio di una svolta nuova di ripresa economica e di una pace duratura del Paese.


Mauro Palombo
NP aprile 2023

Questo sito utilizza i cookies. Continuando la navigazione acconsenti al loro impiego. Clicca qui per maggiori dettagli

Ok