Fraternità nella Chiesa

Essere nella Chiesa non come in una struttura, ma come in una Presenza a cui convertirsi.

di Rosanna Tabasso

 

La nostra è una storia di fedeltà a Dio nella Chiesa. Il primo gruppo del Sermig si è formato negli anni ’60, la stagione del Concilio. Ma erano anche anni di forte contestazione e spesso di rottura con la Chiesa da parte di realtà giovanili che la volevano più povera, più distaccata dai poteri. Anche noi condividevamo alcune di queste critiche. In noi però non producevano proteste ma sofferenza, come si soffre per chi si ama.

Don Michele Do, un prete cui in quegli anni ponevamo spesso le nostre domande alla ricerca di risposte convincenti, ci diede la chiave: la Chiesa non è una struttura che si deve aggiornare ma una presenza, quella di Gesù, alla quale convertirsi. Detta da lui, che era in prima linea a fianco dei poveri ed era davvero lontano da ogni tentazione di potere, questa risposta ci aveva confermato nella decisione di restare nella Chiesa: “Una presenza a volte difficile da riconoscere, faticosa da vivere, ma voluta da Gesù per aprirci la strada del Regno e per annunciare a tutti la buona notizia che sono possibili cieli nuovi e terra nuova”.

Nel 1969 Ernesto Olivero si sentì spinto ad incontrare Paolo VI per portargli le critiche dei giovani verso la Chiesa. Il Papa ascoltò le opinioni di quel pugno di giovani che eravamo, rispose che anche lui desiderava ciò che desideravamo noi e concluse: “Spero da Torino, dal Piemonte, terra di santi, per una rivoluzione d’amore”. Quelle parole ci sono rimaste stampate dentro e ci hanno sostenuto negli anni seguenti, anni travagliati dal discernimento sul nostro essere piuttosto che sul nostro fare. Sentivamo di voler essere un segno di speranza per la gente frastornata dalla contestazione, dalla violenza, dalla lotta armata e cercavamo conferme.

La conferma ce la diede Giovanni Paolo II il 24 gennaio 1979, nel secondo incontro con Ernesto; ancora non ci conosceva bene ma ci diede una parola molto chiara: tirar fuori la speranza assopita nel cuore della gente.

Nella nostra storia il riferimento alla Chiesa è una costante; è di questi giorni l’incontro con Benedetto XVI che ci ha ricevuto con un gruppo di giovani che frequentano gli Arsenali e gli amici. Ancora una volta nel cuore della Chiesa per consegnare la nostra Fraternità, il nostro servizio a fianco dei giovani e nello stesso tempo per indicare ai giovani presenti il significato del nostro appartenere alla Chiesa. Non la prigione dei nostri sogni, delle nostre speranze – come spesso i giovani la sentono – ma la casa di tutti, dove ognuno può servire con il proprio dono particolare, provato, vagliato, orientato ma infine accolto e valorizzato. Anche una Fraternità fondata da un laico sposato, fatta di famiglie, giovani, consacrati, come la nostra è porzione di Chiesa, percorsa dalla linfa che il battesimo immette in ognuno. E Dio se ne può servire perché il suo Regno cresca nella storia degli uomini.

Appartenere alla Chiesa, sempre e nonostante tutto, nella nostra storia è stato un punto di partenza ma è diventato anche un punto di arrivo. Tanti sono i momenti in cui si è messi alla prova e riuscire a superarli senza perdere la fiducia non è sempre facile. Momenti in cui proprio fratelli nella fede, pastori della Chiesa ci ostacolano e ci fanno soffrire; ci sono scandali che mettono in discussione la credibilità della Chiesa agli occhi di tante persone già critiche o più deboli nella fede. Sono esperienze dolorose che viviamo tutti. Il punto è arrivare a capire che il valore della Chiesa sta in Cristo, che l’ha voluta come un prolungamento di Sé e accettarla così com’è, fatta di un’umanità fragile, soggetta alla tentazione, all’errore. Il male è male da qualunque parte provenga, il male va riparato chiunque l’abbia commesso. Umanamente tutti possiamo sbagliare e il perdono ci viene incontro, poi però occorre convertirsi e riconciliarsi. Le esigenze della struttura non possono schiacciare le persone, struttura e persone sono tutti soggetti di conversione, tutti in cammino. Ma restando in ginocchio.

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