Non è l'abito che ci distingue

Non è l'abito a dire la nostra appartenenza a Dio, ma la bontà, il volerci bene, lo stimarci tra noi.

di Rosanna Tabasso

 

In uno dei suoi viaggi in Giordania, nel 2004, un sacerdote regala ad Ernesto alcune piccole croci di rame del 4° secolo d.C. fatte dai cristiani condannati ai lavori forzati in un’antica miniera di rame, nel deserto vicino Aqaba. Colpito da questi ritrovamenti Ernesto chiede di poter visitare quel luogo di dolore e di fede.

Nel diario dell’Arsenale dell’Incontro del 30 aprile è annotato: «Partiamo all’alba per il sud della Giordania alla volta di Finas, un villaggio in mezzo al deserto dove durante le persecuzioni di Diocleziano migliaia di cristiani sono morti nelle cave di rame. Con gli scarti del rame costrivano piccole croci per rimanere attaccati a Dio. Scavando ancora oggi è possibile trovare le croci fabbricate da questa povera gente! In questo luogo si respira un’aria particolare, si ascolta il silenzio di un deserto che racconta la fede di questa terra santa». 

Quando abbiamo sentito che era il momento di avere una croce per la Fraternità, non abbiamo avuto dubbi nel darle la forma delle piccole croci di Finas. Una forma che ci ricorda i dolori del mondo, i perseguitati per le loro idee, i martiri di ieri e di oggi. Mettere questa croce al collo è come prendere il testimone di fratelli morti per la loro fede, secoli addietro come oggi, e far rivivere quel simbolo nella nostra vita. Vi abbiamo inciso l’impronta di Gesù morto e risorto e ai suoi piedi Maria, sua e nostra Madre. Dietro, la sintesi della testimonianza che vogliamo portare con la nostra vita: “Amati, amiamo”. La portiamo al collo per dire il nostro essere di Cristo e la nostra appartenenza alla Fraternità. È segno di un’identità che è personale e insieme comunitaria ma è soprattutto l’impegno a dare testimonianza di ciò che la croce rappresenta, è come dire a noi stessi “ricordati per chi lo fai”.

Chi la porta ripete, come tanti cristiani perseguitati di ogni epoca, le parole di Paolo: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno» (Fil 1,21) ed è consapevole di portarla dal proprio battesimo fino ad battesimo dell’amore più grande. Il simbolo è per aiutarci a ricordare chi siamo, per chi viviamo, a chi affidiamo la nostra vita: per Cristo, con Cristo, in Cristo. È per aiutarci ad orientare tutta la nostra persona verso di lui. La Regola del Sì ce lo ricorda: «Portare questa croce è dire la nostra appartenenza al Signore e alla sua Chiesa; ci ricorda il nostro sì totale e la missione che il Signore ci ha affidato: trasmettere speranza a chi soffre, a chi ha fame di affetto, di pane e di giustizia, formare e “riparare” I giovani nel Bene, riportarli a Dio».

La croce che portiamo al collo non è accompagnata da un abito particolare che ci distingua: «Non è l’abito a dire la nostra appartenenza a Dio ma la bontà, il volerci bene,lo stimarci tra noi, il riconoscere l’altro migliore». Con tutta la nostra fragilità e imperfezione ciò che ci distingue non è l’aspetto esteriore ma saper stare tra la gente con cuore accogliente, disponibile all’altro, non aggresivo o carico di giudizio; ci distinguono i gesti di attenzione ai bisogni dell’altro, lo spirito fraterno, la capacità di ascolto: «Se saremo abitati da Dio avremo il suo profumo» (dalla Regola del Sì) e lo comunicheremo alla gente. 

Tuttavia c’è un vestire adeguato alla missione cui siamo chiamati. È semplice e dignitoso, consono al tempo e al luogo in cui viviamo. Non ci distingue né per eleganza né per sciatteria, è il vestito di gente che lavora, che si spende per gli altri, un vestito che non offende i più poveri con cui viviamo, non è nè appariscente nè ricercato perchè tutti si sentano a proprio agio. Rispecchia semplicemente lo stile sobrio che tutta la vita di un cristiano deve assumere nell’uso dei beni materiali, nel consumo delle risorse, nel non accumulare, nel non sprecare per rispettare il creato. 

Gesù ci dà la chiave quando ci dice: «Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? (…) Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,25-26.31-33). 

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