La bontà è disarmante

La bontà è l'unica chiave per incontrare e dialogare con l'uomo.

di Rosanna Tabasso

 

Quando all’Arsenale abbiamo iniziato a parlare di bontà, c'è voluto del tempo a capirne il senso. Nel linguaggio corrente la bontà sa di vecchio, è uguale a buonismo e non è considerata un valore. I buoni sono quelli che non sanno fare nulla di più importante, sono perdenti o peggio ancora ipocriti.

Finché un giorno, in cui volevamo reagire contro una persona che ci aveva calunniato, un amico ci ha detto: “Voi non potete farlo! Voi siete buoni”. Nella sua risposta c’era la filosofia della trasformazione di un arsenale di guerra in Arsenale della Pace: disarmare con la bontà. Per ricordarcelo, abbiamo costruito nel cortile dell’Arsenale un muro sbrecciato con i nomi delle nazioni dove abbiamo portato un segno di fratellanza e la scritta: la bontà è disarmante. Giorno dopo giorno, quella scritta ha cominciato a parlare alla mente e al cuore di ognuno e la parola bontà ha ritrovato spessore. In fondo, è la sintesi dello stile di vita del Vangelo, quello delle beatitudini: beati i miti, beati i poveri, beati quelli che piangono, beati gli operatori di pace... gente che sceglie di vivere come Gesù Cristo, sapendo che avrà un futuro in cui sarà consolato, troverà misericordia, erediterà il regno… (cfr Mt 5)

Nessuna predica, nessuna crociata ma la scelta personale di testimoniare Gesù Cristo e il suo Vangelo attraverso gesti, parole, fatti concreti. Lo stile di vita delle Beatitudini passa solo così: qualcuno ci crede, pur con tutti i limiti e le fragilità ci prova, senza presunzione, senza sentirsi migliore degli altri, con modestia, con umiltà. Il Maestro, l’unico per tutti, è infatti Gesù Cristo, il Signore. È lui che guardiamo scegliendo la bontà.

“Le divisioni di oggi arrivano da errori, mancanza di carità, incomprensioni, interessi e paure di ieri” è scritto in questa pagina della Regola. Bisogna prenderne tutti coscienza, anzitutto a livello personale, perché ognuno di noi ha subito qualcosa da qualcuno e, se non lo scioglie del tutto, l’odio lo avvelenerà sempre. Tutti reagiamo se ci sentiamo aggrediti e molto spesso alla base dell’odio che circola tra persona e persona non c’è vera cattiveria, ma l’istintiva reazione ad un’aggressione subita. A volte noi ne perdiamo la consapevolezza, ma resta registrata negli archivi della nostra memoria. Per scegliere di disarmarci allora dobbiamo purificare anche la nostra memoria, ripercorrere il passato, liberarci da ciò che abbiamo ben sepolto in noi.

Le famiglie hanno spesso nella loro memoria ingiustizie subite, divisioni, perdoni mai dati… Affiorano anche dopo anni, avvelenano la vita di più generazioni. Basta poco perché i fratelli si dividano, i genitori si lascino andare a preferenze. Il libro della Genesi ce lo insegna attraverso la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli, figli del patriarca Giacobbe, e prima ancora attraverso la storia di Caino e Abele, quella di Abramo e dei suoi figli Isacco e Ismaele. Bisogna avere il coraggio di scavare nella memoria della propria famiglia e fare pace con il passato.

È così ad ogni livello di convivenza, anche nelle nostre Fraternità. Spesso il Vangelo e la testimonianza passano in secondo piano, dietro e di molto, al nostro io ferito, al nostro sentirci messi in secondo piano o ad una qualunque altra situazione di conflitto. Spesso le antipatie sono più forti della volontà di costruire insieme, il rancore ci divide, ci isola, esisto solo io. È così nei palazzi, nei quartieri, in parlamento…

Tutti abbiamo da far pagare qualcosa a qualcun altro, tutti vogliamo toglierci qualche sassolino dalla scarpa prima di pensare al bene comune. Ma così non abbiamo futuro! “Non sono le rivendicazioni a fare incontrare gli uomini, ma la bontà che ci rende ricercatori di giustizia, persone solidali”. Il negativo oggi lo respiriamo tutti. Ma lamentarci non serve, protestare non serve. Serve piuttosto cominciare a cambiare l’aria e preparare un futuro dove i buoni si riconoscono, si uniscono, fanno l’impossibile per il bene.

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