Accogliere con la compassione nel cuore

Il compatire è sapersi mettere veramente nei panni dell'altro, il ferito, il deluso, il tradito...

di Rosanna Tabasso

 

Dove sta andando il mondo che conosciamo, che cosa stiamo vivendo? Queste domande ci girano continuamente in testa, ce le ripetiamo come un ritornello che affiora alla memoria da solo. Ascoltiamo notizie, parliamo con la gente, facciamo due conti in casa e realizziamo che la povertà aumenta; avvertiamo il timore che il contagio arrivi fino a noi e questo pensiero non ci fa vivere: aumenta il senso di precarietà, lo smarrimento, la paura, la rabbia di fronte alle difficoltà di sempre più gente.

E poi la terra trema di qua e di là, piove e scatta subito l’allerta meteo, fa caldo e si sciolgono i ghiacciai, fa freddo ed è black out, polveri sottili, inquinamento... L’allarmismo di fronte agli eventi naturali ci rende ancora più insicuri. Siamo avvelenati da questo senso di precarietà e la reazione rischia di essere peggio del problema. Il rischio è chiudersi, intristirsi, lasciarsi vivere o stordirsi per dimenticare. Ma c’è un’altra possibilità ed è cambiare visuale e scegliere lo stile del samaritano indicato da Gesù nel Vangelo: scendere da cavallo, lasciare da parte le nostre sicurezze di prima e imparare un ritornello nuovo per vivere questo tempo, imparare la compassione, aprire il cuore e mettere l’intelligenza a suo servizio. Intelligenza senza cuore non basta, ci vuole anche la capacità di com-patire e questa facoltà del cuore può indirizzare l’intelligenza a valorizzare risorse impensate. “Il compatire è sapersi mettere veramente nei panni dell’altro con amore e responsabilità” ripete la Regola del Sì e questo è il nuovo ritornello da imparare in fretta e da vivere in questo oggi assediato di poveri e di senza speranza.

Il tempo di Gesù non doveva essere poi tanto diverso dal nostro se folle di senza pane lo seguivano e qualche volta doveva scappare di nascosto da quell’assedio. Gesù li guardava e si commuoveva per loro, provava compassione e diceva loro “Venite a me voi tutti affaticati e oppressi e io vi ristorerò” (Mt. 11, 28). Non aveva ricchezze da distribuire ma speranza da risvegliare in loro.

Noi moderni abbiamo rifiutato la commozione perché ci è stata presentata come sentimentalismo ma anche perché mette l’accento su ciò che manca e che non siamo in grado di controllare e di risolvere, ci fa sentire impotenti, scoperti. Siamo cresciuti in un tempo in cui tutto è alla nostra portata, tutto possiamo fare con le nostre forze, tutto possiamo risolvere da soli. E là dove da soli non siamo in grado di risolvere, rimuoviamo il problema, come la malattia o la morte.
La commozione procura un coinvolgimento che spaventa chi è abituato a risolvere ogni cosa in una sequenza progressiva di domanda-risposta, bisogno-soluzione. Oggi però avvertiamo che questa sequenza non tiene più, non ci sono più risorse sufficienti per portarla avanti con le nostre forze umane. Per noi questo momento è un’opportunità di conversione del cuore. Per valorizzare ciò che più ci caratterizza come persone: muoversi verso l’altro, amarlo. Gli scossoni di questo tempo possono aiutarci a riscoprirci, a ritrovare noi stessi e il senso del vivere. Incontriamo la gente e torniamo a farci prossimi.

Possiamo contribuire a ricreare un tessuto di umanità nei nostri quartieri, nei nostri paesi, magari iniziando dai condomini dove abitiamo.
La compassione ci educa così a superare l’indifferenza, ad incontrare le persone, a riconoscere le loro fatiche, a stare vicini. Non avremo forse grandi soluzioni da offrire a chi ha perso il lavoro, a chi non ha casa, a chi ha un malato in casa…  ma non avremo paura di lasciarci toccare dall’umanità sofferente di questi che avviciniamo, ascoltarli, familiarizzare con loro. E poi quando il cuore è aperto, l’intelligenza si attiva a cercare risposte di solidarietà, magari modificando il nostro stile di vita: occupare un po’ di tempo per ascoltare, accompagnare una persona in difficoltà; sperimentare che si può aprire casa propria ad un anziano solo, a  una mamma e a suo figlio, dividere qualcosa di concreto con chi non ha più il necessario. Nulla di nuovo, semplicemente la riscoperta della compassione come una risposta alla complessità di questo oggi, una risposta che restituisce senso alla vita.

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