Umanità accolta

Pubblicato il 13-03-2024

di Claudio Monge

Non si è ancora spenta la eco del recente terribile attentato armato del 28 gennaio scorso, che ha violato non solo la sacralità di uno spazio di preghiera, ma della celebrazione eucaristica stessa, nella chiesa cattolica di Santa Maria del sobborgo di Büyükdere a Istanbul. Non è tanto la ridda di rivendicazioni, supposizioni e strumentalizzazioni politico-religiose che ne sono seguite che ci interessa qui, ma un aspetto di una contestualizzazione dei fatti, non solo palesemente erronea ma anche volutamente fuorviante.

Non si capisce come e perché, la notizia della tragedia in questione, sia rimbalzata dalle agenzie stampa internazionali come un attentato perpetrato in «una chiesa cattolica italiana»! Basterebbe conoscere la semantica dei termini impiegati, per rendersi conto del buffo ossimoro creato dall’associazione di “cattolica” e “italiana”: ciò che per definizione è universale, non può essere ristretto nei limiti di una nazione. Nella fattispecie poi il dato è palesemente falso perché né la comunità dei frati francescani conventuali, che ha la responsabilità dell’animazione della comunità in questione, né l’assemblea domenicale di tale comunità è identificabile per legami particolari col Bel Paese.

È, inoltre, totalmente anacronistico assimilare l’attuale mondo cattolico latino istanbuliota con i levantini: gli europei di Turchia discendenti più o meno diretti delle comunità mercantili insediatesi già a partire dal XII secolo nella capitale dell’Impero Bizantino e ultimi rappresentanti della più antica comunità storica italofona esistente all’estero. In fondo, questa assimilazione, perpetua la logica dei millet, concetto socio-politico il cui nome deriva dall’arabo milla, che significa originariamente gruppo o setta, e che era basato sulla concezione etnico-religiosa islamica della dhimma, elemento base anche nella costituzione ottomana della nuova società politica islamica. Questo sistema riconosceva l’identità comunitaria dei vari gruppi etnici non musulmani (greco ortodossi, armeni o ebrei), anche se non territoriali, ma con un limite: quello di essere sudditi di seconda categoria, con diritti inferiori rispetto alla umma, o comunità transnazionale musulmana. Ora, benché questo quadro storico sia totalmente superato, per coloro che strumentalizzano la religione attribuendole finalità secolari e non solo spirituali, si tratta di un’eredità da utilizzare a fini identitari, soprattutto là dove un dato gruppo guarda con ostilità ciò che è diverso e che ritiene minacciare la propria esistenza.

Il paradosso è che, chi ritiene di trovarsi su sponde opposte, è implicitamente alleato in questa visione: da una parte, i credenti di gruppi cosiddetti minoritari, che vedendosi in una posizione di debolezza, trasformano l’immutabilità e la chiusura settaria della loro chiesa di appartenenza in uno strumento per affermare la propria identità. Dall’altra parte, chi detiene il potere, che utilizza a suo favore questo ripiegamento, per accentuare il controllo e la limitazione dei diritti di cittadinanza di frange della popolazione che considera, in genere a torto, poco leali o non “solubili” in termini di coesione sociale.

Di fatto, questo clima limita, quando non impedisce del tutto, l’espressione pubblica delle convinzioni, comprese quelle etiche e spirituali, come elemento vitale del dibattito democratico per una società inclusiva e alla ricerca di senso. Quel senso e quella solidarietà comunitaria che cercava anche il povero Tuncer Cihan, ucciso nella chiesa di Santa Maria l’ultima domenica di gennaio. Tuncer non era italiano ma cittadino turco, non era cristiano ma alevita. Tuttavia era accolto dalla comunità cristiana di Büyükdere come creatura che, in quanto tale, è sacra, benvenuta come in tutte le chiese in cui si lavora per la riconciliazione del cuore e dello Spirito, dono di quel Dio che nella visione cristiana si è addirittura fatto uomo per essere solidale con la condizione delle sue creature!


Claudio Monge
NP febbraio 2024

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