Perché il male?

Pubblicato il 07-11-2023

di Claudio Monge

Dopo quasi quattro mesi di siccità diffusa, a inizio settembre, come spesso succede in questi ultimi anni di inquietante evoluzione climatica, in alcune aree assai limitate della Turchia, si sono registrati violentissimi temporali, con frequenti anomale inondazioni. In una città come Istanbul, che si estende su due continenti per un diametro superiore ai 70 km, il clima può caratterizzare in modo opposto zone differenti della stessa megalopoli. Mentre in centro storico, dove viviamo, la pioggia ha continuato a rimandare il suo appuntamento, nei distretti di Arnavutköy (sulle rive del Bosforo), Başakşehir o Çatalca, l’acqua ha fatto danni strutturali ingenti. I bilanci sono stati pesanti anche sulle persone: l’Ufficio del Governatorato di Istanbul ha notificato il decesso di due persone nei distretti di Başakşehir e Küçükçekmece e 12 feriti, per altro in condizioni non gravi.

Nella provincia di Aksaray, nell’Anatolia centrale, ha suscitato una profonda emozione in tutto il Paese, la tragica scomparsa di una bimba di tre mesi, sfuggita dalle mani dei genitori, intrappolati in un’auto trascinata da un fiume di acqua e fango. Il cadavere della piccola è stato ritrovato dai soccorritori dopo cinque giorni di ricerche. A questo punto, hanno destato scalpore le parole di Mehmet Ali Kumbuzoğlu, governatore della provincia di Aksaray che, accanto alle dichiarazioni più politiche a commento della situazione di crisi, si è avventurato in spericolate considerazioni teologiche. Ha tra l’altro detto: «Avremmo voluto poter consegnare la nostra bambina Asel, viva alla sua famiglia. Ma, a quanto pare, Dio amava così tanto la nostra bambina e ha voluto portarla con sé. Ora è in cielo».

Concludendo con un: «Che Dio dia pazienza a tutta la sua famiglia». Al netto dell’incomprensibilità, per la nostra mentalità occidentale, di questa “invasione di campo” di un personaggio con un ruolo istituzionale, in una società formalmente laica, restano anche le perplessità relativamente a questa interpretazione, evidentemente di ispirazione islamica, di un tragico fatto di cronaca. Ritorna l'eco del cruciale processo a Dio inscenato da Fëdor Dostoevskij nel suo capolavoro I fratelli Karamazov: «… se tutti devono soffrire per acquistare con la sofferenza l’eterna armonia, che c’entrano qui i bambini? Dimmelo, ti prego! Non si capisce assolutamente a che scopo debbano essi patire e perché debbano acquistarsi con le sofferenze quell’armonia. Perché hanno servito anch’essi da materiale e da concime per preparare a vantaggio altrui l’armonia futura?».

I cristiani sanno che prima di interpellare Dio per le sue presunte “responsabilità” relativamente al male nel mondo, sono invitati nei capitoli 2-3 della Genesi a interrogare la loro libertà e coscienza perché un’ampia porzione del male disseminato nella storia ha una precisa sorgente umana. Qui entra però in gioco l’esistenza di un male che “eccede” la pura e semplice responsabilità umana individuale e sociale, un male che non può essere facilmente “razionalizzato”. In prospettiva islamica è essenziale difendere l’autorità incondizionata di Dio sopra la sua creazione e, dunque, anche il fatto che nulla sfugge a Dio di ciò che attraversa l’umano, pena indebolire la sua Onnipotenza; in più Dio non deve dare risposte alle domande degli uomini, Egli non può essere messo sotto processo. Ora, il fatto che un figlio appena nato sia strappato ai suoi genitori, non può essere considerato un bene. Allora, è forse solo la fede in un Dio incarnato che offre la propria vita per l’umanità, che può permettere di sostenere, in presenza di sofferenze e lutti, che la sola via d’uscita è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore (senza per questo rendersi complice del dolore) per condurli a un bene più grande.


Claudio Monge
NP ottobre 2023

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