Medio Oriente in salsa turca

Pubblicato il 13-12-2023

di Claudio Monge

Se l’orribile attacco di Hamas del 7 ottobre scorso sembrerebbe aver colto di sorpresa i mitici servizi segreti israeliani, ha certamente, più comprensibilmente, sorpreso la leadership turca. Ecco perché il presidente, tradizionalmente molto rapido nelle sue prese di posizione sugli eventi internazionali, ha per diversi giorni inusualmente taciuto sulla nuova crisi.

L’attuale leadership ha sempre tenuto una posizione piuttosto chiara sulla questione del conflitto Israelo-Palestinese, almeno da quando Erdoğan abbandonò il palco dopo uno scambio di battute furiose con il presidente israeliano Shimon Peres, durante una tavola rotonda su Gaza al World Economic Forum di Davos del 2009 (a dispetto del fatto, lo ricordiamo a chi fosse sfuggito, che Israele è sempre stato un alleato strategico di Ankara). Almeno inizialmente, il presidente turco si è limitato a ribadire che la realizzazione di uno Stato palestinese indipendente e geograficamente integrato sulla base dei confini del 1967, con Gerusalemme (Est) come capitale, è una necessità non più rinviabile. Insomma, sostenere i palestinesi senza negare il diritto all’esistenza di Israele. A cent’anni dalla nascita della Repubblica sulle ceneri dell’Impero ottomano, la Turchia non è evidentemente più una repubblica laica e kemalista e l’attuale regime è costruito sulla propria versione di lotta di civiltà contro l’Occidente, prima di tutto come reazione ai ripetuti schiaffi ricevuti dalla non politica europea, carica di promesse mai mantenute (salvo accordi contingenti di interesse, come quello sulla gestione dei migranti, tra l’altro in totale contraddizione con sbandierati “valori democratici”, a geometria variabile).

Ma se nella Turchia attuale si afferma una visione islamica della società che ha a cuore, tra l’altro, la causa palestinese, bisogna diffidare di amalgami impropri, tipo i paragoni con l’Iran (gli stessi islamisti turchi intransigenti contestano la vicinanza politica tra Hamas e Teheran). Interessante a questo riguardo l’opinione dell’analista turco Selim Koru, che evidenzia l’unicità della collocazione della leadership turca tra posizioni pro “status quo” e “revisioniste”. Le prime sono quelle difese dai Paesi occidentali e dei loro alleati che dettano le regole dell’”ordine liberale internazionale” e degli interessi economici globali. Sul versante revisionista, ci sono le potenze nazionaliste/civilizzatrici come Russia, Cina e Iran, Paesi che lamentano la loro assenza quando le regole furono stabilite. Vogliono un posto più importante negli affari mondiali e pensano sempre più che il modo per ottenerlo sia un qualche tipo di confronto violento. E la Turchia?

Secondo l’analisi di Koru, dal punto di vista economico, giuridico e militare, è integrata nella rete dello status quo, mentre dal punto di vista politico è profondamente revisionista ma, anche in questo caso, con delle eccezioni. Se per il modello revisionista iraniano il cambiamento è prodotto dalla rivoluzione (si rovesciano i traditori della civiltà e si instaura una teocrazia), Erdoğan, smarcandosi dal suo mentore Erbakan, propone un modello “gradualista”: ha capito che si può erodere il potere dei “traditori della civiltà” e costruire gradualmente il proprio regime all’interno del loro guscio. Ciò richiede un leader forte, in grado di ottenere il rispetto dei radicali ma anche di mettere a proprio agio i moderati. A differenza dell’Iran, il fulcro del movimento non è l’azione militare, ma il commercio. Si fa crescere l’economia, si crea una nuova élite e si diventa una parte importante (anche se fastidiosa) dello status quo, attendendo con pazienza di invertire il rapporto di dipendenza dal “centro imperiale”.

Ecco perché l’improvvisa escalation nella Striscia di Gaza ha infastidito il governo di Ankara, concentrato nello sforzo di appropriarsi dell’eredità repubblicana turca con le celebrazioni del centenario! È proprio questa la chiave per comprendere il senso della grande manifestazione turca pro-Hamas, tenutasi alla vigilia dell’anniversario della Repubblica, per oscurare mediaticamente le celebrazioni repubblicane, inevitabilmente centrate sul padre della patria Ataturk e non sull’attuale rais!


Claudio Monge
NP novembre 2023

 

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