Un soffio d’Umanità

Pubblicato il 08-07-2023

di Gian Maria Ricciardi

Il Covid sfiorisce, per fortuna, ma è rimasta la nebbia nel cuore: molta. Si coglie e si palpa in molti tratti della vita d’ogni giorno. Si legge sulla bara bianca di quel bimbo travolto e soffocato dal mare a Crotone. L’hanno scritto, l’hanno detto, l’hanno ripetuto. Non s’è vista in giro, però, una forte levata di scudi di proteste.

Eppure quella “sigla” marchia a fuoco la nostra improvvisa mancanza di umanità, è l’evaporazione della nostra sensibilità. Certo, forse, non c’era altra scelta possibile: non c’era il nome, non c’erano i genitori e neppure i parenti che potessero parlare di quella vita sbrindellata a cento metri dalla spiaggia. Certo, le inchieste faranno il loro corso (e meno male come a Bergamo). Ma quella sigla, l’omaggio silenzioso e la forza gentile del presidente Sergio Mattarella sono la prova del nostro cuore confuso. I numeri incisi sulla bara bianca, nel palazzetto spettrale di Crotone, ne richiamano altri, tanti altri. Fanno tornare alla memoria i numeri dei deportati nei campi di concentramento, la freddezza dei muri che ancora qualcuno vuole costruire in Europa, i reticolati sulla rotta balcanica, le sigle dei barconi della disperazione. In Europa, però, non c’è stata una reazione di genuina indignazione. Abbiamo il cuore più corazzato e annebbiato.

Sì, il Covid ci ha ridotti male. L’insoddisfazione permea buona parte degli atteggiamenti quotidiani: quando il bus ritarda come quando la prenotazione per esami all’ASL ha tempi biblici. Sono diminuite le donazioni, le offerte, gli aiuti. Si fa una fiammata allo scoppio della guerra in Ucraina dopo l’invasione di Putin o dopo l’apocalisse di vittime del terremoto in Turchia, poi più nulla o poco. In Iran avvelenano le studentesse; in Russia “rieducano” i bambini a migliaia e migliaia e ricordano il nostro sabato fascista; in Ucraina ci sono donne stuprate, ma sono storie lontane. A volte, quando si seguono certi talk show, sembra d’essere tornati al terribile e vecchio principio: primum vivere, deinde philosophari.

C’è nebbia fitta che ci trattiene le mani e gli slanci naturali, quando si potrebbe intervenire, o riduce inesorabilmente tutti i gruppi di volontariato che, come rete sociale, hanno sorretto i mutamenti, i drammi, le lacune della società, ora decimati anche loro dalla pandemia attendono rinforzi. Basta attraversare l’Italia più volte, come mi è recentemente successo, per cristallizzare piccoli gesti, apparentemente insignificanti che dicono di una società non più “noi”, ma sempre più “io”. È la grande fuga nel privato.

Si calpestano i vicini; si maltrattano molte persone; si lasciano soffrire gli affetti e anche i ricordi. Si scappa perché, sottotraccia, il Covid ci ha regalato un pizzico di paura di esistere! Si scappa e si uccide (anche con parole) la libertà degli altri, i loro affetti, le lacrime (non fai in tempo a vederle!). È fuge, come scrivevano i padri della Chiesa. Ma così non vedi più altro che te stesso, la salvezza, un approdo, un’isola, il respiro. Loro, infatti, aggiungevano: tace, quiesce. Noi no. Noi abbiamo fatto l’opposto: fuggiamo e basta. È il contrario di ciò che avviene con la farina che, lavorata, dà il pane. S’è persa la sensibilità o una parte, in casa, in strada, sul lavoro, a scuola, nella passione politica, negli incontri. Anche la Meloni a testa in giù non è accettabile come i cortei violenti degli anarchici.

Il Covid è riuscito a farci entrare “dentro” il dubbio del timore: un’onda che va frenata. C’è da cancellare tre anni di sospetti, di timori, di diffidenze, di politiche sbagliate, di furfanterie di comunicazione: una mentalità della paura del diverso che ha avvelenato le nostre vite, ma non offuscherà quelle dei nostri figli. «Bussate, vi sarà aperto», ma prima occorre purificare i cuori. Per sciogliere la nebbia, basta un soffio d’umanità.

Gian Maria Ricciardi

Np Aprile 2023

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