Maschere

Pubblicato il 06-06-2023

di Gian Maria Ricciardi

Ci sono maschere che sopravvivono anche al carnevale: le nostre. E, anch’esse, almeno in parte sono conseguenza feroce del Covid Tutti abbiamo imparato a mentire di più e meglio.

Le lunghe ore di silenzio e di solitudine che non c’erano imposte da almeno un secolo, ci hanno, almeno in parte offuscato lo sguardo. Sorridiamo: per dimostrare che stiamo bene. Abbiamo imparato in quelle settimane nelle quali (qualcuno l’ha dimenticato?) non si poteva andare oltre i 200 metri dalla propria abitazione. Quel divieto ci è rimasto “dentro” e non va via.

È ora dell’indifferenza: un altro regalo della pandemia. Porte sbarrate, luci spente, anziani che chiedono aiuto, bambini travolti dalla vita incipiente, coppie abbandonate, persone annientate da malattie e disgrazie economiche: nulla riesce a forare la cortina, la corteccia, l’armatura che, a volte inconsapevolmente, ci è cresciuta e fortificata intorno a noi. Ma la paura e l’ansia per il futuro che da tre anni ci attanagliano sono più forti.

A qualcuno (pochi stando alle statistiche!) ha regalato un tuffo nel mistero, nella fede, nella solidarietà. Ad altri (molti!) ha portato una stretta nelle relazioni sociali, nei rapporti con le persone. È un processo pericolosissimo per tutti: porta alla perdita delle radici, delle caratteristiche di una società e della memoria del passato. Mi sembra di cogliere, nell’effluvio controverso delle immagini che ci arrivano in casa, tante isole che possono rischiare di essere sommerse dalla solitudine. Le chiese sono sempre più vuote. Perché? Gli incontri cul-turali, quelli che danno prospettiva alla vita anche. Perché?
I
nvece, sfogliando gli annali, ecco: quanta umanità nella nostra storia, quante vicende di straordinario-ordinario eroismo nei secoli andati del nostro Paese, quante belle figure di gente che s’è sporcata le mani con gli ammalati, i poveri e senza speranza.
Quanta insoddisfazione, invece, oggi negli occhi di chi incontriamo per strada. C’è una ragione? Sì. I nostri cuori si sono induriti. E sappiamo perché. Le ambulanze passavano a sirene spiegate, i medici e gli infermieri ci arrivavano in casa “carrozzati da paracadutisti”, coperti, mascherati. Lo facevano per proteggerci e proteggerci. Noi, ora, “passata ‘a nuttata”, lo facciamo solo per egoismo.
Ci arrivano in casa storie tremende, ogni giorno: dall’Ucraina, dalla Turchia, dal mondo, dalla porta accanto. Certo, leggerle non è facile.

A provocarle, certamente, è la cattiveria, la natura trascurata, l’odio, le diseguaglianze sociali. Però il Covid e la paura di non respirare più ci ha fatto chiudere a riccio, ha lasciato spazio, ancora una volta, al consumismo che con ingordigia divora ogni sentimento e cancella l’umanità. C’è il rischio evidente del “mi faccio i fatti miei”, la scelta di non alzare gli occhi oltre l’orizzonte di casa, la crescita di una dose massiccia ed eccessiva di presunta privacy. Ma non basta: ci sono la vita sempre più dura, il lavoro che scarseggia ed è quasi sempre precario, spese e tasse (che nonostante le promesse) crescono, famiglie sempre più sole, sfasciate e abbandonate a se stesse. C’è la naturale ricerca della sicurezza, così basta una maschera, tirata giù: in casa, in condominio, in strada e la tranquillità è salva. E poi? Le saracinesche abbassate, nella storia, non hanno mai portato nulla di buono, ora l’inverno demografico, le sale di circoli e convegni vuote, un mare d’indifferenza. Le finestre aperte al primo sol di primavera sono un altro mondo.


Gian Mario Ricciardi
NP marzo 2023

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